lunedì 20 aprile 2015

L'esperienza strumento per lanciare le PMI



Ho pubblicato qualche tempo fa una breve nota, un sintetico post sull'esperienza direttamente su Linkedin ottenendo diversi commenti. Tra questi quelli più attenti e interessanti sono stati quelli di Giuseppe Cavazzana per cui mi è sembrato utile chiedergli un contributo per questo blog. Giuseppe, che è consulente esperto di management, ha accettato. Ecco che cosa ne è venuto fuori.

a) Quali sono le difficoltà maggiori che devi risolvere nella tua professione per portare sintonia tra le generazioni? 


La velocità sempre maggiore dei cambiamenti geo politici, sociali e tecnologici rende sempre maggiore il distacco tra le generazioni. La sintonia dipende in primo luogo dalla comprensione reciproca e dalla condivisione di valori e visone aziendale. Oggi, prima di affrontare le classiche problematiche di competitività tra figli e genitori o tra giovani e anziani colleghi, occorre superare la barriera della reciproca incomprensione e della differente percezione della realtà circostante. 

b) Quali le ricchezze che "anziani" e "giovani" possono portare all'azienda? 


Gli apporti di giovani e anziani nelle aziende sono molteplici ed abbondanti, è il rovescio della della medaglia positivo, rispetto al punto precedente. gli anziani, stimolati dal veloce cambiamento, filtrano e affinano le migliori capacità ancora attuali e, di fronte al nuovo, sanno intuire ed evitare molti errori e rischi a cui i giovani si esporrebbero con facilità. I giovani sono abili e pronti nel cogliere le opportunità, utilizzare le nuove tecnologie, affrontare le difficoltà senza pregiudizi e senza rimpianti per un passato che non può più ripresentarsi. 

c) Che cosa è "esperienza" per te? 
Ritengo ci siano due modi di vedere l’esperienza, nei confronti di se stessi e nei confronti del mondo circostante. Il primo è la conoscenza delle proprie capacità e dei propri limiti, sapere cosa meglio si è ingrasso di fare e cosa invece evitare, come e quando ottenere i migliori risultati con il minor rischio di insuccesso. Il secondo è la conoscenza del mondo che ci circonda, sempre uno strumento valido di supporto alle nostre decisioni, ma forse meno che in passato a causa della rapidità dei cambiamenti e dello scenario attuale, in gran parte sconosciuto a tutti, in quanto nuovo. 

d) Che cosa serve di più alle PMI italiane oggi? 
Oggi serve maggiormente saper pianificare l’attività delle aziende, anche medie e piccole e micro, familiari o meno che siano. nei periodi facili, quando l’economia tira, pianificare sarebbe facile, ma è così facile che i più ritengono che sia superfluo. Nei periodi difficili, come l’attuale cambiamento epocale più dei precedenti periodi di semplice crisi, quasi tutti dicono che è impossibile pianificare, in questo modo si bruciano le risorse su vaghe speranze di soluzioni che arriveranno da sole. La mia esperienza, con centinaia di aziende incontrate negli ultimi trent’anni, è che maggiori sono le difficoltà e le incertezze, maggiore deve essere l’impegno a pianificare obiettivi sostenibili impiegando le risorse realmente disponibili con lungimiranza

e) Quali gli errori più gravi che hai visto accadere nella tua esperienza? 
L’errore fondamentale che ho riscontrato è forse che ciascuno in azienda vuole fare di testa propria, in buona fede indubbiamente, per far meglio, per rimediare agli errori di chi comanda, ma, poverino, non può vedere tutto e sapere tutto, così le “risorse umane” si disperdono, le strategie so modificano o si vanificano del tutto. Penso sia il rovescio della medaglia della geniale creatività di noi italiani: siamo i migliori ad inventare nuovi prodotti ed a superare le difficoltà del momento, ma non riusciamo a gestire la normalità ed a realizzare autentiche economie di scala lavorando in gruppo, rispettando metodologie e gerarchie. 

f) Dacci tre semlici consigli per le PMI 
- Fare rete per avere la massa critica necessaria a riuscire nel mercato globale. 
- Organizzare e pianificare le aziende per gestire economicamente la normalità. 
- Fare pianificazione finanziaria di medio periodo e rispettare metodicamente i limiti di budget.



Giuseppe Cavazzana

sono consulente di direzione dal 1984 e dal 1994 socio ordinario della Associazione Italiana dei Consulenti di Direzione e Organizzazione APCO, con la qualifica di Certified Management Consultant.


Collaboro con i miei clienti, in un rapporto di fiducia che dura in molti casi da più di un decennio, alla definizione delle strategie e alla rilevazione dei risultati ottenuti. 

venerdì 17 aprile 2015

La lezione del rugby: la fiducia



Il rugby è uno sport particolare e la sua storia è ricca di tradizioni e di leggende, di sfide e di rituali. Uno sport semplice ma allo stesso tempo complesso, dove si sfidano 15 giocatori contro 15 divisi in “avanti” e “trequarti”; con gli avanti che fanno il lavoro più sporco, quello di lotta e conquista, con i trequarti che invece corrono, esplorano gli spazi liberi per finalizzare l’azione con la meta. Ma entrambi i reparti collaborano e sono solidali in attacco come in difesa. Condurre alla meta qualcuno è una sfida avvincente e la capacità di creare fiducia è fondamentale per il raggiungimento di questo risultato. Il tutto in considerazione del fatto che si deve andare avanti ma passare la palla a qualcuno che sta dietro e che deve sempre esserci. Nel percorso di formazione di un giocatore di rugby sono due gli ambiti di creazione di fiducia da incrementare e consolidare: l’ambito personale e l’ambito collettivo. La creazione di fiducia nell’ambito personale deve trattare tutti quegli aspetti del rapporto tra l’atleta e il grado di fiducia nelle proprie capacità, aspettative, competenze; l’ambito collettivo deve trattare invece tutti quegli aspetti del rapporto tra l’atleta e il grado di fiducia verso i compagni (sia di reparto sia di squadra), verso un sistema di gioco, verso lo staff di conduzione, verso il coach. Più alto sarà il grado di fiducia verso tutte queste componenti, più elevate saranno le capacità di apprendimento e di possibilità performance elevate.
Per creare fiducia nell’ambito personale è necessario adottare e manifestare con continuità e coerenza almeno tre comportamenti: mostrare rispetto, quantificare gli obiettivi e chiedere miglioramenti.
Creare fiducia nell’ambito collettivo è un altro aspetto fondamentale. Creare fiducia tra i giocatori all’interno dello stesso reparto, all’interno della stessa squadra di gioco o nella squadra invisibile (staff) è indispensabile per il raggiungimento di risultati eccellenti. Per creare fiducia nell’ambito collettivo è necessario adottare due atteggiamenti: essere leali e mantenere gli impegni.

Il Rugby e la formazione manageriale

La fiducia è la misura della disponibilità ad abbandonarsi all’interlocutore ed è correlata con il senso di sicurezza nella ragionevole speranza che vengano date risposte positive alle proprie aspettative.
La capacità di assumere impegni, la capacità di mantenere gli impegni assunti, la capacità di riproporre gli impegni presi, consolida negli altri la fiducia nella persona e nel sistema di lavoro proposto da quella persona.

La fiducia è una delle colonne portanti della relazione con gli altri, che a sua volta governa le regole essenziali della comunicazione.



THIS IS RUGBY





Roberto Rade
Esperto consulente formatore nel campo della vendita, si pone come partner dei clienti per aiutare la forza vendita a sviluppare competenze sempre più capaci di fare la differenza La metodologia con la quale si sviluppa ogni attività d’aula segue i più moderni schemi di apprendimento del Behaviour Modelling. Le tematiche oggetto di interventi consulenziali e formativi, che per la maggior  parte dei casi sono costruite ad hoc seguendo le specificità del settore di appartenenza, comprendono:

•     Marketing
•     Tecniche di vendita base
•     Vendita complessa e BtoB
•     Tecniche di negoziazione
•     Customer service
•     Comunicazione e relazione
•     Public speaking
•     Time management
•     Leadership
•     Motivazione 
•     Problem solving e creatività
•     Team building e Teamwork
•     Coaching

giovedì 9 aprile 2015

Comincio da tre: l'unione fa rete e avventura. That's amore e il successo




Un libro, un blog, un agriturismo. Tre donne. Il caso. Ma poi esiste il caso? L'occasione per iniziare una avventura insieme. 
E' così che Elisa Formenti, la scrittrice, Chiara Selenati, la food -blogger e Monica Altobello, che gestisce l'agriturismo omonimo, si sono inventate in un progetto che ha trasformato un sogno in realtà.
Ora che un uomo si permetta di raccontare l'iniziativa di tre donne sottraendo loro la parola, non s'è mai visto e non voglio essere io il primo a farlo. Per cui, lascio alle tre brillanti imprenditrici il compito di raccontarci che cosa bolle in pentola, ricordando solo che l'appuntamento è per




Quale obiettivo vi ponete con questa iniziativa?
Elisa: Abbiamo accolto con entusiasmo l'idea di questo evento e ciascuna di noi serba la speranza di valorizzare il proprio lavoro e conoscere persone che, se hanno aderito all'iniziativa, significa che condividono le stesse passioni: lettura, natura, cucina.
Chiara: Non c'è nulla di più appagante che poter conversare con chi parla lo stesso linguaggio immerse in un'atmosfera rilassante sorseggiando caffè e gustando dolcetti preparati insieme.
Monica: Siamo convinte che ogni incontro sia un arricchimento e faremo in modo che questa esperienza sia qualcosa che apparterrà per sempre non solo ai noi tre ma a tutti i partecipanti.
Qual è il punto di contatto tra tre realtà apparentemente così diverse?
Elisa: Questo evento pareva segnato nel calendario del destino. Nasce dall'incontro in rete di tre donne, madri lavoratrici, che credono nella propria passione: la cucina (Chiara), la natura e l’ospitalità (Monica) e la lettura/scrittura (io, Elisa). Ci unisce la forza e la determinazione di chi ha un sogno e si adopera per realizzarlo, così come Clizia, la protagonista di That’s Amore.
Chiara: Sì e proprio nell'anno in cui l'Italia ospita l'Esposizione Universale, che verte sull’alimentazione e la nutrizione, ci rendiamo conto che anche il cibo è un elemento che ci accomuna.
Monica: Expo Milano 2015 è un’opportunità per allacciare rapporti con Paesi esteri e per dimostrare le proprie tipicità. Nella mia azienda agricola, grazie anche alle competenze di mio marito diplomato in apicoltura, produco un miele frutto della Natura che i miei ospiti possono gustare a colazione all’ Agriturismo, ai piedi della Valpolicella, contribuendo così a valorizzare il territorio della romantica Verona. Anche il nostro evento può fregiarsi del logo ExpoVeneto.it e acquisisce un valore aggiunto in un contesto internazionale che vede l’Italia protagonista. Questo evento.ci vede unite nel proporre ad altri la passione per il nostro impegno quotidiano, a volte faticoso, ma che sempre ci arricchisce come persone.
Chiara: Il cibo mi ha portato a viaggiare e a vivere per sette anni in Francia dove ho iniziato a scrivere il mio blog di cucina , che mi spinge a cercare di continuo nuovi stimoli, scoprire prodotti e culture, cimentandomi anche in ricette mai sperimentate. Il tema del viaggio è  un altro punto di contatto tra noi.

Elisa: sono appassionata di cucina al punto che è co-protagonista del mio romanzo That's Amore, bestseller in Amazon per settimane nella Top100 e tuttora a distanza di oltre otto mesi nelle classifiche di genere. La trama verte sulla tenacia e la forza di una giovane donna, Clizia, che non si arrende mai e si REINVENTA proprio nella suapassione per la cucina

Fare rete è possibile: come si fa?
Elisa: Da subito si è rivelato un gioco di squadra in un equilibrio dinamico. Incoraggiata da Chiara mi sono iscritta anche a Google plus e Pinterest ampliando ulteriormente i nostri contatti
Monica: La tecnologia ci ha aiutato parecchio, ricordo la nostra prima conference call via Skype: io e Elisa in agriturismo a Verona e Chiara in Friuli.
Chiara: Siamo restate connesse le une alle altre attraverso i vari social network in cui ciascuna ha continuato a comunicare nel suo stile ma con una condivisione pressoché immediata dei contenuti verso i rispettivi Followers.

Come state sfruttando la rete per promuovervi?
Elisa: La promozione in rete è tutt'altro che facile, ma anche in questo caso abbiamo unito conoscenze e competenze per consigliarci e supportarci a vicenda.
Ci siamo organizzate così da rispettare le nostre individualità mantenendoci fedeli al proprio modo di comunicare pur intessendo una rete di contatti reciproci diffondendo quanto più possibile la notizia dell’evento attraverso post e mailing list.
Chiara: Ho dato la prima spinta propulsiva e ho creato una pagina evento su Facebook e abbiamo invitato i nostri rispettivi contatti.



Monica: Mi sono resa disponibile a raccogliere adesioni e prenotazioni. Dopo pochi giorni dal lancio un gruppo di 10 amiche aveva già prenotato per poter partecipare all’evento. Ciò ha rafforzato il nostro entusiasmo e abbiamo informato del nostro vari promotori di eventi online. In segno di ringraziamento li abbiamo menzionati nella pagina principale dell’evento sul nostro sito.




Chiara Selenati è una grande appassionata di pasticceria e cucina internazionale. Carnica, 35 anni, sposata con Olivier e mamma di 2 bambini, ha vissuto 7 anni in Francia dove ha iniziato a scrivere il suo blog, diventato uno stimolo continuo per scoprire nuovi prodotti, nuove culture, provare nuove ricette ed associazioni, migliorare l’uso della macchina fotografica. Ora abita nella sua regione natale, il Friuli Venezia Giulia dove continua a condividere le sue ricette sul blog in italiano e  in francese. Il blog di Chiara è un mondo di dolcezza: le sue creazioni (in prevalenza dolci) fanno venire l’acquolina in bocca. Per lei, un piatto, oltre ad essere buono dev’essere anche bello perché prima di assaggiarlo dev’essere mangiato con gli occhi.

Elisa Formenti, veronese, 41 anni. Pratica nuoto agonistico e partecipa a competizioni nazionali. Si laurea cum Laude in Scienze Biologiche, indirizzo biomolecolare. Dal 2000 lavora nella Direzione medica di una multinazionale farmaceutica. Nel 2001 sposa Alessandro; due figli, Alice e Tommaso. Autore di pubblicazioni scientifiche e presentazioni a congressi di settore. Hobbies: leggere, cucinare, viaggiare, ma soprattutto scrivere, passione che coltiva fin da bambina. Iscritto all’ass. culturale LiberAmente e socia di EWWA. Il 23 luglio 2014 esordisce con That’s Amore, besteseller in Amazon. In pochi giorni il libro raggiunge la 62° posizione di Amazon rimanendo nella Top100 per tre settimane. La notizia viene ripresa da quotidiani locali di Verona, Roma e Bologna. Diverse trasmissioni televisive e radio invitano l'autrice a presentare il romanzo e a raccontarsi. Tuttora, a distanza di oltre otto mesi, That's Amore permane nelle classifiche di genere.

martedì 7 aprile 2015

Quando il software aiuta a scovare i talenti







La tecnologia al servizio delle aziende non serve soltanto per il marketing o per facilitare le vendite, ma anche per rendere più agevole la selezione delle proprie risorse. Nemoris è una start-up specializzata nella ricerca di software innovativi, dedicati alla direzione delle risorse umane, capaci di rendere più efficace il valore aggiunto delle persone eliminando la parte meno nobile e più meccanica del loro lavoro.
Non sto parlando del campo amministrativo, ma di quello più proprio della direzione HR: la ricerca dei talenti.
Ho chiesto ad Anna Elisabetta Ziri, una delle fondatrici di Nemoris, di raccontarci quali sono i vantaggi che le loro soluzioni offrono.

In quale modo un software non amministrativo può essere utile alla direzione del personale?

Quando come Nemoris abbiamo studiato le problematiche della gestione dei documenti ci siamo messi da un punto di vista completamente diverso rispetto ai normali gestionali.
Ci siamo detti: con i progressi che hanno fatto l’intelligenza artificiale e le tecniche dell’analisi del linguaggio naturale possibile che ancora si debbano inserire tutte le informazioni a mano, sia che si tratti di un candidato ad un annuncio che di un recruiting specialist che deve archiviare i curriculum che arrivano spontaneamente in azienda uno per uno? È così che è nato Opus, il software per archiviare, ricercare e selezionare i cv e i candidati che coadiuva la ricerca e la selezione del personale in azienda.

Quali sono le sfide che un’azienda affronta nella selezione dei candidati?

Alcuni recruiter di risorse umane ci hanno detto che per ogni annuncio di lavoro già nei primi giorni arrivano più di 400 curriculum vitae. Questo è dovuto a più fattori che sono un segno del cambiamento in corso: in tempi di crisi infatti
1) aumenta la ricerca di lavoro e quindi le candidature
2) anche i talenti che non hanno problemi di occupazione inviano candidature spontanee ad aziende per cui vorrebbero lavorare perché interessanti per il loro percorso di carriera
3) alcune professioni sono sempre più fluide, con profili misti, a meno che non sia richiesta una specifica conoscenza tecnica ci si candida anche se non perfettamente aderenti al profilo
4) c’è maggiore mobilità per cui si ricevono candidature anche da un’area geografica diversificata rispetto al passato
Il problema da parte del selezionatore è che la maggior parte delle candidature non sono pertinenti. Spesso il tempo passato nel semplice screening diventa preponderante e si mette un limite al numero di candidature ricevute e analizzate, con il rischio di ricominciare da capo al termine perché non si è trovato il candidato ideale.
Oppure si accettano candidature che provengono solo dalla sezione “lavora con noi” del sito, in cui un candidato è obbligato a compilare un form che va direttamente a riempire un database consultabile dall’azienda. Sono i famosi ATS (Applicant Tracking System) che però sono destinati a lasciare il posto a sistemi più flessibili.
Anche perché sapete cosa succede ai candidati più appetibili? Che non hanno il tempo di compilarli a meno che la posizione non sia estremamente appetibile. E quindi si candidano solo in quelli delle aziende più in vista mentre le piccole aziende hanno un flusso di candidature ridottissimo.
E gli altri, quelli che alla fine compilano candidature in serie? Fanno copia e incolla dal loro curriculum e spesso i dati presenti nel database diventano quindi disallineati rispetto ai campi del form.
Perché fare e far fare tutta questa fatica quando esiste già la tecnologia per risparmiarsela?

Mettere dei filtri alle candidature è il modo sbagliato di raccogliere dati. I filtri vanno applicati in un secondo momento. Ad esempio, se è necessario che un lavoratore viva vicino all’azienda, Opus estrae automaticamente le città di domicilio e di residenza e permette di ricercare per area geografica. Il candidato invia semplicemente il suo cv, che rimane poi a disposizione per altre selezioni ma i profili da esaminare sono comunque limitati dalle impostazioni di ricerca. E questa è solo una delle funzionalità che permettono di avere più dati a disposizione senza perdere in efficienza.

Qual è il rischio connesso con l’assumere un candidato inadatto?

Il rischio è enorme: la persona sbagliata prima destabilizza il gruppo di lavoro in arrivo, poi lo fa ancora di più nel momento che lascia. A volte si vedono processi di selezione che rimangono in attesa proprio per la paura di assumere un lavoratore di cui non si è convinti. Il problema spesso è a monte: il processo di selezione è faticoso e viene sprecato tempo in attività secondarie.
Ho un grande rispetto per chi deve valutare i candidati. È un lavoro delicato, razionale, che richiede una grande empatia e competenze trasversali senza contare l’esigenza di studiare le posizioni aperte e il mercato di lavoro continuamente. È assurdo che molta parte di queste energia sia persa in azioni meccaniche come la raccolta dei dati o la gestione pratica del processo di selezione.

Quali criteri seguono le aziende nei percorsi di selezione?

Siamo davanti ad un cambiamento epocale. Stiamo passando da una visione fordiana del lavoro, settoriale e iperspecializzato, ad una selezione in cui, fatte salve alcune competenze necessarie, si sceglie una persona per il suo potenziale.
Faccio un esempio nel mondo del software, di cui faccio parte e che si evolve così velocemente: quando seleziono uno sviluppatore, sicuramente devo controllare che abbia le competenze che mi servono in quel momento, ma devo anche verificare se sarà in grado di aggiornarsi secondo le tecnologie che cambiano. Fino a qualche anno fa chi avrebbe pensato che la produzione di APP sarebbe stata così preponderante? Devo avere in azienda persone che possano evolvere. Per quello è importante non solo vedere le competenze specifiche ma anche se sono presenti altre skill analoghe, che indicano una persona flessibile e curiosa, che si tiene aggiornata. Da questa prospettiva un profilo professionale diventa tanto più forte non solo accumulando anni di esperienza ma anche altre competenze nella stessa area professionale ma “contigue”.
In Opus abbiamo lavorato moltissimo per tenere conto di questo fattore, infatti ordiniamo i risultati delle ricerche in modo da mettere ai primi posti chi più si avvicina ad un profilo a tutto tondo rispetto alla richiesta, prendendo in considerazione anche le competenze aggiuntive anche se non richieste immediatamente.

In che modo Nemoris può essere una risorsa per le imprese?

Noi coccoliamo i nostri clienti. Cerchiamo di entrare nella loro testa, capire i loro processi, in modo da fornire loro il software più semplice da usare possibile, che porti ad un risparmio di tempo ed eviti azioni noiose e ripetitive. Chi gestisce le risorse umane ha bisogno di tool semplici che supportino, non siano un ulteriore peso.
Davvero bisogna fare un corso di formazione ad ogni nuovo selezionatore perché impari le idiosincrasie dei software di recruitment? Siamo nel 2015, l’epoca in cui si prende in mano lo strumento e si mette nella pila di carta da riciclare il manuale allegato. Opus non ha bisogno di corsi di formazione: carichi i curriculum e sei subito operativo. Fa anche questo parte di quel processo di risparmio di tempo e risorse che promettiamo ai nostri clienti.

Che servizi fornite?

Il nostro focus è utilizzare le tecniche semantiche e di machine learning che già si usano massicciamente nel web per archiviare automaticamente file e testi. Sono anni ormai che i moderni motori di ricerca ci insegnano “non organizzare, trova!” ma nelle aziende questo concetto non è ancora stato recepito pienamente. Per essere veramente efficiente deve naturalmente tenere conto del contesto aziendale, della struttura dei documenti archiviati e delle esigenze dei clienti. La semantica non funziona bene senza contesto. Se io le dico “Topolino” che cosa capisce? Ma se io lo accosto a parole diverse, ad esempio “Fiat”, o “Fumetto” o “Disney” o “dei dentini da latte” cambia totalmente la sua immagine mentale. Questo è quello che facciamo noi. E all’utente viene scaricata la parte maggiore del lavoro, quella meccanica, e si può concentrare su task in cui la creatività e l’empatia danno quel valore in più che serve in ogni azienda.

Perché scegliere voi?

Siamo un’azienda giovane e fortemente innovativa, abbiamo ricevuto diversi riconoscimenti in questo campo.
In un mondo che cambia così velocemente è fondamentale avere tool aggiornati che permettano di essere competitivi in ogni settore dell’azienda. Bisogna liberare risorse dai task ripetitivi per reinvestirle negli ambiti più innovativi e soprattutto bisogna riuscire a gestire tutta questa conoscenza che le aziende hanno nelle loro banche dati e non sfruttano.
Lo sa che quando si apre una nuova selezione pochissime aziende vanno a guardare le candidature spontanee arrivate via email oppure quelle reperite nelle scorse selezioni?

Dato che non sono legate ad un certo annuncio è un lavoro che richiede troppo tempo. Con Opus non c’è questo tipo di problema. Magari proprio tra quei cv che non si ha il tempo di considerare è nascosto un lavoratore eccellente, che è un asset di un’importanza pazzesca ai nostri giorni. Davvero vogliamo rischiare di perdere questa opportunità?

giovedì 2 aprile 2015

Salva la tua azienda con la cultura digitale: intervista a Rosa Giuffré






Ognuno di noi conosce persone che vorrebbe appendere al muro. No, non con violenza, ma con ammirazione, come i poster degli artisti e degli sportivi che popolavano la nostra stanzetta da adolescenti. Rosa Giuffré per me è una di queste. Caparbia, intelligente, brillante, paziente, determinata quanto sensibile è una professionista capace di cambiare la testa alle persone come alle aziende, e lo posso assicurare in quanto ha iniziato da se stessa. Per questo ha tutta la mia stima e la mia fiducia. Per questo credo di fare un favore ai lettori più che a lei nel cogliere l’occasione dell’uscita del suo primo libro per replicare la felice esperienza di una intervista (qui trovate la prima) e chiederle di aiutarci a capire come le PMI possano beneficiare dall’introduzione graduale, ma decisa, della cultura digitale in azienza.
Il testo, che consiglio, si intitola Cambia testa e potenzia la tua azienda con la cultura digitale pubblicato da Dario Flaccovio e potete trovare qui il pdf delle prime trenta pagine per saggiare il saggio… 
Lasciamo la parola a Rosa:


      In quale modo la cultura digitale può cambiare la testa dell’azienda?
     L’azienda non è una struttura asettica e senza vita. Per questo motivo ‘la testa dell’azienda’ è da considerarsi innanzitutto come qualcosa di essenziale perché composta da persone, manager, piccoli imprenditori che oggi faticano ad abbracciare e comprendere ciò che il digitale può loro offrire per potenziare la propria realtà. Cultura digitale non è tecnologia, ma un percorso che mira a cambiare l’approccio al proprio business che in molte realtà è purtroppo ancorato a mentalità che definirei ‘vecchio stampo’. La cultura digitale è un processo che deve quindi essere condiviso non solo da chi è a capo dell’azienda, ma da ogni singola persona che ne fa parte e che rappresenta il vero valore. Con una nuova consapevolezza sarà più semplice rilanciare il proprio business.

Come può una PMI o un artigiano avvicinarsi alla cultura digitale?
Innanzitutto ponendosi in ascolto sincero e analizzandosi. Spesso ci si concentra sulle sovrastrutture finali (sito, social network) che sono solo la punta di un iceberg che se non ben strutturato rischia di sciogliersi come neve al sole. Prima di pensare al problem solving è necessario pensare al problem finding e con umiltà accettare che dinamiche di business su cui ci si è poggiati per anni oggi non funzionano più o devono essere riviste. Non si tratta di sradicare la tradizione, ma di aprirsi a nuove possibilità. Il ‘è 30 anni che facciamo così’ è la frase più deleteria che una PMI potrebbe pronunciare.

Quali sono i vantaggi maggiore che una cultura digitale può dare alle PMI italiane?
Le PMI italiane hanno una grande forza: sono piccole gazzelle digitali specializzate, eppure sembra fatichino a dare valore a questo loro plus. Se nel mondo il brand ‘made in Italy’ ha un valore immenso, se l’artigiano possiede una maestria unica che il mondo ci invidia, il vantaggio di abbracciare un percorso di cultura digitale sarà quello di rilanciare la propria attività verso nuove strade e nuove vie. Tradizione e innovazione sono la medicina per uscire da una malattia che ha colpito molti imprenditori: l’immobilismo.

Mondo digitale e clima interno all’impresa: c’è una vera connessione o è la solita moda americana?
Direi proprio di no. Nel libro di esempi oltre oceano non ne mancano, ma col fine di tornare sempre al focus: le PMI italiane. La tecnologia, la connessione tra le persone in azienda abilita il cambiamento, ma questa attività deve essere favorita nel tempo. Se fino a ieri le idee di un dipendente non erano nemmeno prese in considerazione, oggi come è possibile coinvolgerlo? Grazie a community online ad esempio, intranet. Il vero valore l’imprenditore l’ha in casa e sono le persone che lavorano per lui! Il digitale ci permette di fare uscire queste idee che devono essere contaminate tra loro!

   Quali sono le resistenze più grandi che hai incontrato nel mondo italiano alla digitalizzazione?
   Essenzialmente due: cambiare testa non è semplice. Il ‘sciur Bianchi’ (nome con cui ho chiamato l’imprenditore a cui parlo nel libro) è radicato su vecchie dinamiche organizzative e di comunicazione. ‘ho sempre fatto così’ o ancora ‘mica mi metto a raccontare cosa faccio su internet così mi copiano’… frasi banali forse, ma che rivelano quanta chiusura esiste ancora. La seconda è una resistenza sulla fiducia: non comprendendo a priori il perché fare un’azione di web marketing o  come agire, non possedendo quindi l’ormai famosa cultura digitale che è di fatto trasversale, molti imprenditori si fidano di consulenti che propongono pacchetti che sono solo specchietti per le allodole. In un paragrafo dico ‘i pacchetti non esistono, a meno che siano pacchi’. Ammaliati da un investimento basso e da facili risultati, investono quel poco budget che mettono a disposizione e puntualmente le aspettative vengono disattese. Arrivare in un’azienda e iniziare un percorso di consulenza dopo un’esperienza del genere è doppiamente difficile… ma non impossibile ;-)

Relazione con il cliente, vendite, marketing: dove e perché l’impatto digitale è maggiore?
Tutto parte dal sito internet. Punto. Social, contenuti, blog comunicazione sono satelliti che ruotano attorno al sito e ne implementano le potenzialità perché permettono poi di sviluppare la relazione col cliente. Fondamentale oggi è esserci: belli, pronti, reattivi. Importante e essenziale formare il proprio customer care a diventare un social care! Ascoltare la rete, monitorare cosa dice e intervenire soprattutto durante critiche è di vitale importanza. Quanti lo fanno? Vedi? Anche sul concetto di sito c’è molta confusione: basta farlo per esserci? Direi proprio di no! Eppure quante PMI abbandonano siti con news e attività datate? Poi però si lamentano che altre aziende, magari con prodotti più scadenti hanno possibilità migliori? Le chance col proprio cliente bisogna crearsele per poi essere pronti a coinvolgerlo, coccolarlo, seguirlo.

Quali sono i passi che una PMI dovrebbe intraprendere per digitalizzarsi?
·        Reagire e uscire dall’immobilismo e aggredire prima di morire come delle balene spiaggiate!
·        Acquisire idee, conoscenza grazie alla contaminazione tra le nuove e le vecchie generazioni e la formazione
·        Adottare con coraggio nuovi processi: partendo dall’umiltà di voler cambiare
·        Analizzare sempre e costantemente ogni area, ogni successo e soprattutto ogni insuccesso
·        Il sciur Bianchi dovrebbe poi imparare ad affidare: lasciare liberi i dipendenti di portare risultati e non sterili report
·        Infine il sciur Bianchi deve tornare ad essere leader resiliente, il vero trascinatore della sua PMI

Che cosa è una Social Organization?
Un’organizzazione sociale che ha capito quanto fare comunità sia fondamentale. Adriano Olivetti l’aveva già intuito, i piccoli imprenditori l’avevano dimenticato? Oggi è necessario tornare a questo concetto. Se le aziende sono comunità in cui è necessario tornare al valore delle persone, oggi grazie al digitale e alle community online questo concetto può essere amplificato. Sono le persone stesse che tendono ad aggregarsi in comunità per condividere e relazionarsi. In azienda, blog o intranet, possono concretamente aiutare l’imprenditore a sviluppare quel senso di appartenenza che nel tempo si è affievolito. Le persone felici lavorano meglio e una social organization mira a rendere più stimolante l’ambiente di lavoro attraverso il coinvolgimento diretto di tutte le parti aziendali presenti.

Si parla tanto di brand: ma serve veramente alle PMI? Perché?  Come il mondo digitale può aiutare a costruirlo e diffonderlo?
Il brand rappresenta l’insieme dei valori che un utente riconosce a quell’azienda e nel tempo questo riconoscimento si trasforma in vantaggio competitivo. Un sesempio? Pensa a un tablet bianco, su uno non vedi scritto nulla, sull’altro trovi il simbolo di una mela… quale costerà di più? E perché? Ecco dove sta l’importanza di avere un brand e non un semplice marchio. La costruzione della propria reputazione è però un processo lento, da attivare e curare giorno per giorno. Le PMI che comprendono questo hanno un plus rispetto ai propri competitor imparagonabile.

La rete fa… rete: uno degli effetti collaterali più positivi che ho osservato è che i professionisti del web marketing, con tutte le sfumature che esistono, non si vedono come concorrenti, anche quando magari lo sono realmente, ma come dei colleghi che si aiutano e si scambiano informazioni e consigli: secondo te perché? È un modello applicabile anche alle PMI e agli artigiani?
Magari! Comunque sì, Contaminare e fare rete significa questo ed è il modo in cui amo abitare il web.
Esistono già reti d’imprese e community online che favoriscono questo concetto: se il ‘nemico’ è più grosso di me, non è più intelligente allearmi con altri piccoli e affrontarlo insieme? O ancora: per offrire un servizio completo e utile perché non collaborare con aziende che possono andare a completare la mia offerta? Esempio concreto: io produco giacche di alta sartoria e vorrei venderle all’estero. È probabile che chi è interessato poi voglia acquistare pantaloni, camicia, magari gemelli e pochette in tinta. Perché quindi non collaborare con chi, insieme a te, potrebbe dare più valore anche al tuo prodotto? Ecco dove sta la potenza del digitale.

Ci racconti, se puoi, due aneddoti anonimi: la peggiore e la migliore esperienza che hai avuto o visto che collega PMI e cultura digitale?
Nel libro ne racconto alcune, diciamo che le più comuni si possono riassumere in questi dialoghi che ormai sono per me uno standard.
Per le peggiori frasi direi….
‘buongiorno vorrei promuovere la mia PMI su Facebook…(…)’
‘aspetti aspetti… partiamo dall’inizio: in che mercato lavora? ha già un sito? Come comunica?...(…)’
‘ah bè sì dal 2003, ma quello non mi interessa lasciamolo lì com’è mica mi cerca nessuno su Internet, io voglio Facebook perché ce l’hanno tutti…’
Per la migliore:
‘ho capito che il fai da te non paga. Fino a oggi ho cercato di fare da solo, ma mi rendo conto che non è il mio lavoro e soprattutto i clienti stanno diminuendo…’
Da questa mail è partita collaborazione che doveva durare 6 mesi ed è attualmente attiva. Non è stato semplice, ma tra formazione in azienda, restyling sito, attivazione social care e comunicazione social, attualmente abbiamo avuto un incremento dei lead del 18% (che al giorno d’oggi son numeri!).

Tre consigli da 140 caratteri l’uno per l’imprenditore che vuole lanciare la sua prima iniziativa nel mondo digitale
Mi ripeto, ma è l’essenziale
1.      #PMI Reagisci e esci dall’immobilismo. Aggredisci prima di morire come una balena spiaggiata! #CulturaDigitale
2.      #PMI Acquisisci idee, conoscenza grazie alla formazione e alla contaminazione tra le nuove e le vecchie generazioni #CulturaDigitale
3.      #SciurBianchi Adotta con coraggio nuovi processi: partendo dall’umiltà sincera di voler cambiare #CulturaDigitale

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