E chi non ce l'ha una foto scattata da Bubba Gump?
Tutte le volte che ho la fortuna di viaggiare negli States
cerco in tutti i modi di non lasciarmi scappare l’occasione di cenare da Bubba
Gump. Sarò ingenuo forse, ma poiché ho la vanità di non definirmi sprovveduto,
vorrei cercare di analizzare che cosa suscita in me questo fascino e come
possiamo apprendere la lezione per applicarla ai nostri casi.
Innanzitutto chiarisco che il prodotto di base, il cibo,
sicuramente buono senza essere trascendentale, ma non è per mangiare gamberetti
e pesce che ti sobbarchi una coda anche lunga.
C’è dietro una storia, sicuramente sì: e non è che dobbiamo
allora per forza affidarci ad un film di grande successo per copiare il
successo di Bubba Gump. Ma c’è dietro una storia, una storia che continua a
vivere: sei lì, sei nel mezzo della storia, tutto ti parla di quella vicenda
lì, ti sfida anche. I camerieri ti interrogano e sono loro stessi parte della
storia, sono gli amici di Forrest che ti introducono a casa sua, nella sua
avventura.
Il cibo ti parla della storia. Il modo di ordinare ti parla
della storia.
E poi il servizio è impeccabile: a mia figlia hanno servito
un prodotto sbagliato –non voleva il caffè sulla torta- si sono scusati, glielo
hanno cambiato a tempo record e non glielo anno fatto pagare (kitchen mistake
c’era scritto sul conto con un meno davanti alla portata).
Quale storia raccontiamo noi? In che modo sappiamo
coinvolgere il cliente nella nostra favola, nella nostra avventura? Come
riusciamo a farlo senza perdere in qualità di prodotto e servizio? Che cosa ne
dicono gli amici storyteller di questo modello?
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