mercoledì 27 gennaio 2016

La lezione del rugby: l’appartenenza



Ci sono due team di cui ogni giocatore di rugby vorrebbe essere protagonista. Uno riservato ai soli giocatori britannici e irlandesi ed un altro aperto a tutti.
Il primo si chiama British and Irish Lions. Sono una selezione di rugby espressione delle quattro federazioni delle isole Britanniche: Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda. Costituitasi nel 1888, ha effettuato da allora numerosi tour nell'emisfero sud, in particolare in particolare in Nuova Zelanda, Australia, Sudafrica, ma talora anche in Argentina. Da rilevare anche un incontro con la Francia nel 1989 nel quadro dei festeggiamenti del bicentenario della rivoluzione. Oggi i Lions effettuano un tour ogni 4 anni una volta in Nuova Zelanda, una volta in Sudafrica ed una volta in Australia. Per i giocatori e il coach britannici è l’evento rugbistico per eccellenza, è la porta d’ingresso nella leggenda. Per capire il valore di indossare la maglia della selezione delle “Home Union” dovrebbero bastare le parole di uno che ne ha fatto parte, Lawrence Dallaglio: “Non fraintendetemi, la finale della Coppa del Mondo del 2003 (vinta dagli inglesi) è stata fantastica, ma il più grande momento della mia carriera è stato ogni volta in cui ho indossato la maglia dei Lions”. Come dissero alcuni autorevoli selezionatori dei Lions che contribuirono a creare la loro leggenda, non è facile mettere insieme questa squadra che rappresenta la più pura tradizione britannica dove culture e filosofie diverse convivono e si esaltano a vicenda, partendo dal principio che gli inglesi giocano a rugby perché l’hanno inventato; gli irlandesi ci giocano perché odiano gli inglesi e adorano le risse; gli scozzesi perché sono i nemici storici degli inglesi mentre i gallesi hanno un vantaggio su tutti gli altri: ognuno di loro è nato su un campo da rugby o vi è stato concepito.
Il secondo team sono i Barbarians, o del prestigio. Dal 1890 far parte di questa squadra, che non ha sede né campo, non fa tornei e non rientra in alcuna classifica, è il sogno di ogni rugbista. È un club a inviti, creato da WP Carpmael, membro del Blackheath (uno dei più antichi club londinesi), con l'idea di far giocare insieme i più forti giocatori britannici contro le migliori squadre del momento, anche dopo la cessazione dei campionati, che finivano in marzo. Secondo i principi del suo fondatore, il Barbarian Football Club doveva essere cosmopolita e ispirato unicamente allo spirito di amicizia. La partecipazione, esclusivamente su invito, seguiva due regole: abilità di gioco e comportamento esemplare, in campo e fuori. Con il tempo i Barbarians hanno iniziato a invitare giocatori non britannici. Un particolare contraddistingue i giocatori: tutti indossano la maglia a larghe bande orizzontali bianche e nere, tutti i indossano gli stessi pantaloncini neri, ma ognuno tiene i calzettoni del colore del proprio club di appartenenza. Nel dicembre 1973, i Barbarians affrontarono all'Arms Park di Cardiff gli All Blacks: è considerata la più grande partita di tutti i tempi, con i migliori giocatori dell'epoca tutti in campo e anche la più bella meta di sempre, segnata da Gareth Edwards. Non avendo i Barbarians nessun obbligo o pressione di vincere, le loro partite sono caratterizzate da gioco aperto e pochissimi calci. Lo spettacolo, così, è sempre assicurato.


Il Rugby e la formazione manageriale

Appartenenza, fedeltà, lealtà, definizione di valori, mission, vision. Quanto questi elementi sono prioritari? Quale modalità viene messa in atto per la loro definizione? Le difficoltà della loro attuazione da chi dipende?
Queste sono domande che i manager dovrebbero realmente porsi e fare il possibile per trovare le giuste ispirazioni per una loro condivisione con i collaboratori.


THIS IS RUGBY



Roberto Rade
Esperto consulente formatore nel campo della vendita, si pone come partner dei clienti per aiutare la forza vendita a sviluppare competenze sempre più capaci di fare la differenza La metodologia con la quale si sviluppa ogni attività d’aula segue i più moderni schemi di apprendimento del Behaviour Modelling. Le tematiche oggetto di interventi consulenziali e formativi, che per la maggior  parte dei casi sono costruite ad hoc seguendo le specificità del settore di appartenenza, comprendono:

•     Marketing
•     Tecniche di vendita base
•     Vendita complessa e BtoB
•     Tecniche di negoziazione
•     Customer service
•     Comunicazione e relazione
•     Public speaking
•     Time management
•     Leadership
•     Motivazione 
•     Problem solving e creatività
•     Team building e Teamwork
•     Coaching

venerdì 22 gennaio 2016

SEO: una necessità, un potente strumento o una scelta inutile?




Ritorno su un tema che mi è molto caro e che ho iniziato a trattare qui spiegando perché le politiche di Google non vi fanno trovare più clienti, ma vi fanno perdere quelli che già avete.
Leggo in rete regole che dovrebbero facilitare la ricerca SEO, l’essere indicizzato in modo potente, essere trovato e sparato in prima pagina nelle ricerche con Google, Bing, Yahoo e molto di più.
Suggerimenti e regole pensate da chi ha ben presente come funzionano i motori di ricerca ma, sembra, essere totalmente all’oscuro di come funzionano le persone.
Ad esempio ti dicono, Google stesso ad esempio, che per facilitare il tuo posizionamento SEO devi scrivere notizie di almeno 500 parole.
Bello.
E poi chi li legge?
500 parole –curioso che parli di parole quando nel mondo dei copy si parla di righe o di caratteri- fanno circa 5000 caratteri, quasi 70 righe.
E magari, per riempire il tuo testo che è in sé scarno, ci infili dentro delle bellissime descrizioni dei tuoi prodotti, così, per arricchire un po’ il corpo.
E magari arrivi anche primo nella lista perché hai infilato dentro un po’ di parole chiavi, ma finisci anche per primo nel cestino perché nessuno vuole spendere più di 2 minuti a leggerti, e se appari troppo lungo e per giunta noioso sei fuori.
Più che la SEOreperibilità è bene preoccuparsi della leggibilità.
Crea contenuti che affascinino, che facciano desiderare di leggere ancora, non notizie o articoli che si fanno scartare per la loro banalità e ridondanza.
Poi riparliamo di come costruirci una autorevolezza in rete.
In questo bell'articolo Maria Grazia Tecchia illustra esattamente qual'è la dimensione ideale per ogni social media di fatto confermando quanto ho scritto poco sopra: la misura ideale e quella che si fa leggere dicendo esattamente quello che serve.  E ricordo qui trovate le mie considerazioni sulle richieste che Google fa per migliorare il vostro SEO (e peggiorare la vostra visibilità).
Che ne dite?

martedì 19 gennaio 2016

Social media strategy o SEO? Che cosa conviene di più?




Non basta essere on line per avere una strategia vincete. Lo spiega molto bene Carlotta Silvestrini, una delle esperte –e nel suo caso non è un titolo usurpato o sdrucito- che apprezzo di più per ciò che scrive in rete (molto belli i suoi interventi in LinkedIn e su LinkedIn che trovate qui) in questo post molto diretto e chiaro. 

Non riprendo questo tema, che ho anche trattato in questopost sull’approccio semplice da tenere per evitare proprio gli errori che Carlotta indica come letali.


Voglio approfondire indicando come si possa costruire una immagine autorevole, da azienda di riferimento, nel proprio settore. E questo post avrà un seguito (lo trovate qui)

So di scaricare una bomba, ma dico: scordatevi le politiche SEO.
Intendiamoci, farsi trovare è bello, e sicuramente dipende da che azienda siete e cosa vendete.
È però una scelta passiva: attendo seduto, come i vecchi bottegai o avvocati delle novelle popolari, seduto sulla sedia di vimini fuori dalla bottega.
E aspetto che qualcuno digiti la mia parola chiave.

Voglio di più, voglio andare a prendere i clienti là dove stanno, senza aspettare che abbiano voglia di venire da me.

Voglio andare a dare ai potenziali clienti quello che cercano per farmi apprezzare come una persona che li capisci, che li sa ascoltare, che sa quali sono i loro interessi e i loro problemi. A che cosa servono i social media se voglio giocare in difesa?

Personalmente sono portato a credere che lo sforzo di una azienda, che cerca spazio in rete, debba essere focalizzato sul dinamismo: una volta capito qual è il proprio target andare a cercarlo invece che restare in attesa di essere trovato.

Credo che questo sia lo scopo del social media marketing, il lavoro sul campo, per mostrare ai potenziali clienti che abbiamo voglia di sporcarci le mani e di stare al loro fianco lì dove sono, dove si scontrano ogni giorno con le loro difficoltà.
Io penso che il modo migliore per promuovere  le proprie soluzioni, ed uso questo termine con forte significato: soluzione implica che ci sia un problema, che ho compreso, da risolvere e che la sua risoluzione preveda vantaggi, sia quello di mostrare come grazie ad esse il cliente sia in grado di fare più profitti, vuoi perché ciò che propongo aiuta a ridurre gli sprechi, vuoi perché aiuta a vendere di più. E non dobbiamo avere paura, nel fare questo, a sudare con loro, per rimuovere ciò che impedisce di raggiungere gli obiettivi.

Questo anche in rete, questo anche con una strategia social media che vada a dare una mano. Come dicevano Anthony Parinello e Jeffery Gitomer: perché qualcuno dovrebbe fare qualche cosa per se prima tu non hai fatto qualche cosa per lui?


Che ne dite? 

Nella prossima puntata, che trovate qui: il SEO è uno strumento valido o è inutile? ?


lunedì 11 gennaio 2016

Sviluppare la strategia social: i passi essenziali



Tutti vogliono andare in rete, tutti vogliono avere una presenza sui social media.
Non si deve improvvisare. Non si deve pensare che "lo posso fare alla sera prima di cena". Non si deve pensare che "lo può fare mio cugino liceale che smanetta sempre su Feisbuk!". 

Stai mettendo la tua azienda in piazza e lo vorresti fare in modo da mettere a serio rischio tutto quello che hai costruito? 

Ecco qualche consiglio per impostare con accuratezza una strategia corretta così da evitare di perdere tempo, e denaro.

Il piano che suggerisco è il seguente:
-        identificare i target di riferimento: descrizione di tutti i possibili destinatari dei messaggi in quanto interlocutori interessanti per lo sviluppo e la crescita;
-        comprendere dove posso incontrare questi destinatari: qual è il luogo virtuale che frequentano? Dove si trovano? Quale social media usano? Che cosa sono interessati a leggere? Quanto leggono? O quanto invece preferiscono vedere video o presentazioni?
-        Identificare di conseguenza quali siano i social media da utilizzare e dove pubblicare i propri messaggi;
-        Identificare i temi principali collegati con le conoscenze/competenze dell’azienda che si intendono valorizzare: ricerca delle keyword connesse e scelta dei termini che meglio indirizzano al contenuto interessante. Identificare dei temi collegati che servono a trovare un dialogo con i potenziali lettori e clienti. Non posso parlare solo dei miei prodotti servizi, ma anche di ciò che interessa loro e che può aiutarmi a crescere in fiducia e autorevolezza;
-        ascoltare la rete, monitorarla per poter comprendere dove agiscono questi interlocutori e quali siano i temi più graditi e da chi siano presidiati, così da scegliere strade che mi differenzino, che mi qualifichino, che facciano percepire la mia competenza e il mio vantaggio;
-        identificare infine la strategia di comunicazione che scelga:
o   i mezzi di comunicazione da privilegiare e per ognuno di essi scegliere frequenza e contenuti;
o   gli approcci agli interlocutori e la strategia di ingaggio in rete, come favorire e stabile un dialogo con gli opinion leader, i potenziali clienti, i decisori e così via;
o   gli obiettivi da raggiungere e come si integrino al piano commerciale dell’azienda;
o   il coinvolgimento del sito nella strategia di comunicazione
-        infine stabilire il piano editoriale e lo schedulino del processo di raccolta e diffusione delle notizie.

Una volta avviato il processo mensilmente è bene che venga effettuata una revisione dell’andamento per un allineamento continuo che tenga conto delle esperienze, di ciò che si è appreso, dei cambiamenti e dello studio dei risultati ottenuti.


Avete suggerimenti per rendere il piano ancora più efficace?

Lego e LinkedIn nella strategia delle soluzioni





Io invidio profondamente Giorgio Beltrami, che per professione gioca con il Lego. Beh non è proprio così, ma quasi. Docente (Contract lecturer per la precisione) all’Università della Bicocca di Milano, svolge attività di consulenza e formazione utilizzano il Lego come strumento chiave per trasmettere concetti e far ragionare per raggiungere ad una nuova consapevolezza. In LinkedIn è molto attivo e ha pubblicato interessanti articoli sull’uso del Lego e sulla sua professione.
Non ho resistito alla tentazione di fargli qualche domanda

Da dove è nata l'idea di usare Lego come strumento di formazione e stimolo alla riflessione in gruppi professionali?
Il metodo LSP – detto anche pensare con le mani – nasce come pratica aziendale interna a Lego: alla fine degli anni novanta la necessità di innovazione ha portato alla creazione di gruppi di lavoro che immaginassero scenari “concreti” in cui Lego potesse essere ancora leader di mercato. Questa esperienza ha incontrato lo sforzo di alcuni docenti di una Business School di Losanna che usavano i mattoncini Lego per aiutare i loro studenti a rendere i concetti espressi nei loro report meno opachi e più concreti possibili. Ed ecco qui il metodo LSP ora utilizzato in tutto il mondo per facilitare gruppi professionali. Tra parentesi ci terrei a sottolineare come il metodo LSP non sia un processo di formazione, ma di facilitazione. Un “game” può essere un processo di formazione, un “play” come il metodo LSP è invece un processo di facilitazione.

Quali sono le tematiche gestibili con questa metodologia?
Il metodo consente di facilitare gruppi impegnati nel migliorare i processi di innovazione e di business. Come? Mettendo a fuoco una delle seguenti tre aree: il ruolo, le dinamiche del team o l’identità aziendale. Il tutto in modo rapido, innovativo, coinvolgente e – ovviamente – divertente. Quanto più una persona è parte del processo di apprendimento e consapevolezza tanto più essa potrà contribuire allo stesso in modo molto significativo: questo accade ogni volta in cui gestito un workshop LSP.

In che cosa consiste una "sessione"?
Lo sviluppo tipico di una sessione consiste in una fase di skills building seguita da una di lavoro individuale attraverso la quale si approda a soluzioni o decisioni collettive e condivise. Le attività di skills building consentono ai partecipanti di entrare nel metodo in modo confortevole e senza strappi: nessun sfida improponibile o, al contrario, attività poco motivanti. Attraverso poi specifiche “applicazioni” si procede da una fase focalizzata sull’individuo (sia che si parli di ruolo, di team o di organizzazione) per poi giungere al livello collettivo dove in gruppo giunge a risultati e soluzioni condivise. Non essendo questo il contesto per una descrizione dettagliata delle applicazioni e del core process tipico di un workshop LSP (per questo ci sono wp dedicati o i corsi facilitatori) vorrei limitarmi a evidenziare quanto sia importante il fatto di non prescindere mai dal contributo individuale. Se si partisse subito con attività di gruppo il rischio di perdere la specificità e originalità del contributo di qualcuno è molto elevato. Quando invece ciascun partecipante mette fisicamente sul tavolo il suo “pensiero” rappresentato da uno o più modelli da lui costruiti, quel “pensiero” è lì presente in tutta la sua fisicità e diventa qualcosa da cui non più possibile prescindere: e questa è sempre fonte di grande ricchezza, innovatività e arricchimento reciproco.

Usi LinkedIn come canale di sviluppo dei tuoi contatti: è un canale che possono usare tutti?
Si utilizzo molto linkedin: in particolare ho un gruppo dedicato al metodo LSP che gestisco con grande impegno. Nelle prime fasi (quelle in cui bisogna emergere all’interno di una foresta) intervenivo molto anche in gruppo dedicati alla formazione, ai formatori o alle nuove metodologie formative. Questo mi ha consentito in breve tempo di acquisire visibilità e suscitare interesse intorno al metodo. Ora sono concentrato sul mio gruppo: quasi 500 membri di cui almeno 2 terzi non sono italiani e non sono miei contatti personali. Questo mi ha convinto, da un lato, a fare una scelta molto pratica, scrivere i post anche o solo in inglese e, dall’altro lato, ad allargare il concetto di link anche ai miei contatti non personali o di primo livello. In un caso e/o nell’altro l’impegno costante – e penso la carte distintiva e vincente – è offrire contenuti e casi concreti in cui identificarsi: questo genera interesse e business..
Quali sono gli errori da non commettere in questo canale?
Sono due: trattarlo e viverlo come fosse Facebook e soprattutto non offrire contenuti che mostrino a chi ti segue o entra in contatto con te che essere un tuo contatto (follower o member conta poco) non sia una perdita di tempo ma una reale occasione di arricchimento. Non posso negare che penso sia proprio questo aspetto ad avermi fatto diventare una figura di riferimento per il metodo LSP in Italia.

Quali le strategie di base da usare?
Proprio su Pulse (Linkedin) ho postato un contributo relativo alla mia positiva esperienza nell’utilizzo di Linkedin: 5 semplici consigli. In sintesi: non puntare sulla quantità dei contatti ma sulla qualità, al limite dell’essere selettivi; avere uno spazio personale (tipicamente un proprio gruppo) coerente per contenuti e aspetto con il profilo personale di Linkedin; non gestire più di uno o due gruppi: se fatto bene è impegnativo; dare al proprio gruppo un nome che susciti interesse e che richiami in modo esplicito il tema del gruppo; inserire il link al proprio profilo o gruppo nella firma in calce alla mail che usiamo per il business.
Come si capisce quindi consiglio vivamente di avere un proprio gruppo e di lavorarci sodo.

Lego e LinkedIn: c'è un qualche collegamento?
Direi di si: tutte e due sono strumenti che consentono di migliorare le performance attraverso un approccio proattivo, collaborativo, innovativo e anche divertente.

Social media e formazione innovativa: spesso ambiti fuggiti dalle PMI. perché? come aiutare gli imprenditori a capire il valore di questi strumenti?
Se l’elemento comune è l’innovazione la risposta è: la mancanza di cultura dell’innovazione. Forse una risposta scontata, ma certamente ancora ben lungi da diventare realtà. Spesso si confonde l’innovazione con la tecnologia: sembra che basti produrre o avere tecnologia per essere innovativi. L’innovazione è prima di tutto un atteggiamento, una scelta e un impegno.

E mi lasci dire che è prima di tutto investimento nel capitale umano: senza di esso non c’è innovazione. E concludo con un dato amaro: un recente report della Comunità Europea pone l’Italia all’ultimo posto tra i 28 per innovazione rispetto alle risorse umane. Quindi c’è ancora molto da fare e sicuramente strumenti come Linkedin o Lego Serious Play posso facilitare e agevolare i processi di creatività che sono alla base dell’innovazione.

giovedì 7 gennaio 2016

Rivalutare i "conteterzisti": sono i veri "artigiani della qualità!"



Perché pensare di essere solo piccoli artigiani?
L’azienda che lavora conto-terzi in realtà sta offrendo un servizio di alta qualità, alta sartoria.
Produce ciò che il committente non è in grado di realizzare, o perché non ne ha le competenze, o perché non ha (più) capacità produttiva. In entrambi i casi ha bisogno di potersi affidare a autorevoli partner in grado di eseguire lavorazioni molto accurate con grande arte.
L’azienda conto-terzista è una boutique della meccanica di precisione, della lavorazione della plastica o di altre specialità che richiedono forte esperienza e grande professionalità.
Non ci si deve sminuire se si opera in questo settore!
Il modo migliore per posizionarsi è quello di promuoversi come partner essenziale, capace di affiancare la propria qualità all’azienda committente per aiutarla a migliorare i propri profitti.
Come? Perché?
Come è possibile che il conto-terzista aiuti i propri clienti ad aumentare il propri guadagni?
Se il committente si rivolge all’impresa perché ha un esubero di richieste e capacità produttiva satura, è immediato il collegamento: senza un conto-terzista che aiuti l’impresa cliente a fare fronte alle richieste del mercato, garantendo pari qualità e risposte rapide, il committente perderebbe vendite e forse clienti importanti. Per cui è immediatamente vero che ci sia un impatto sul profitto.
Se il committente si rivolge all’impresa perché non ha in casa le competenze e/o le macchine necessarie, il vantaggio è altrettanto immediato: da un lato ha bisogno di questa produzione per vendere (magari è una parte di un tutto più grande, una aletta di una turbina ad esempio); dall’altro dovrebbe investire tempo e denaro per portarsi a casa la possibilità di produrre.
Quindi anche in questo caso il prezioso contributo del conto-terzista ha un immediato ritorno economico.

Quante volte vi siete proposti considerando questi aspetti, consci del vostro valore? Quante volte avete dato peso a questo valore aggiunto così da fuggire dalle trappole del prezzo?

LinkWithin

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...