Riprendiamo l’intervista a proposito
del saggio Shopper
Marketing edito da Franco
Angeli. Stiamo dialogando con l’autore, Matteo Testori, CEO
di Dialogica, a proposito del nuovo
panorama del retail e di come le decisioni vengano prese nel punto vendita nel
“momento della verità”. La
prima parte dell’intervista la trovate qui.
6.
In che modo il web può influenzare le
decisioni di acquisto dello shopper?
Il web sembra essere, almeno fino ad ora, un
canale prima di tutto informativo. Dalle ricerche, all’estero e in Italia,
emerge che molti acquisti, non solo di beni che prevedono una spesa elevata,
sono preceduti da una ricerca sul web. Anche il contrario è vero: si verifica
nei negozi e si acquista sul web, dove spesso si trovano ottime occasioni.
Insomma, anche nei canali di vendita regna e regnerà sempre di più la
contaminazione, la sovrapposizione, l’ibrido.
7.
Lo shopper marketing serve solo per le grandi
aziende che vendono nella grande distribuzione? Oppure può essere utile anche
per chi vende nel canale tradizionale?
Assolutamente si: nel libro analizzo molti
casi extra gdo; pensiamo ai beni di lusso. In alcuni casi abbiamo trovato nei
negozi femminili più shopper uomini che, ovviamente, acquistavano per un regalo
o una ricorrenza. Nel canale profumerie abbiamo analizzato il comportamento dello
shopper rispetto a marche più o meno note all’avvicinarsi di alcune ricorrenze.
Una marca di profumi per donna, appena lanciata, dimostrava un appeal molto
maggiore del brand “storico” fino all’approssimarsi della…festa della Mamma. Più
ci si avvicinava alla ricorrenza, più il brand “storico” aumentava il suo
appeal (e le sue vendite). Comportamenti magari contro intuitivi che debbono
essere ben chiari ai retailer e alle marche.
8.
Nel suo libro spiega che il momento della
verità in realtà… si è moltiplicato in tanti momenti della verità? può
spiegarci, in poche parole, perché e come?
Perché il processo di acquisto è lungo…una
vita. Pensiamo alle marche a cui siamo assolutamente fedeli, magari fin dalla
nostra giovinezza. Ciascuno di noi ha una ristretta rosa di marche a cui non è
disposto a rinunciare: profumi, birre, automobili, smartphone, jeans, ma anche
saponette, shampoo, creme, bibite…Più è elevato il nostro investimento emotivo
più è per noi difficile abbandonare una marca che è un compagno, un segnale di
come vogliamo rappresentarci nel sociale. A questi brand diamo fiducia e questa
deve essere ricambiata, sempre. La iper competitività ha fatto proliferare le
“sirene” che tentano lo shopper ogni giorno. Ecco che i momenti della verità si
moltiplicano: essere in cima alla lista di desiderabilità (quello che si dice
“top of mind”) è una trincea da difendere più che una eredità da coltivare.
Riuscire a catturare l’attenzione e l’interesse davanti a uno scaffale, dove
mediamente si decide in 4 secondi, è vitale. In questa manciata di secondi si
scarica l’attività di marketing (e gli investimenti!) dell’impresa. La prova e il riacquisto del prodotto
sono strettamente legati fra loro: se il consumatore non gradisce un prodotto è
assai difficile che lo ricompri. Il servizio post vendita, per molti
consumatori un vero calvario fra call center, centri di assistenza che sembrano
progettati per soddisfare una procedura piuttosto che un cliente. Insomma: aumento
della complessità, ma anche incremento delle possibilità per coloro che hanno
voglia di ascoltare, guardare, verificare, capire e…investire.
9.
Quali errori non deve commettere la PMI oggi
nel proporre i suoi prodotti sul mercato?
Non deve cedere alla tentazione di copiare.
Come diceva Jack Trout, insieme al Al Ries il precursore del concetto e dei
modelli di brand positioning, se hai di fronte qualcuno che è molto più grande di
te, cioè con molte più risorse, alla lunga perderai. Nei mercati la dimensione
conta, e non poco. L’impresa piccola deve, ripeto, deve, avere una profonda
convinzione; se non sarà sempre più innovativa dei suoi competitors soccomberà.
En passant: questo è sempre stato il credo di Steve Jobs…
10.Che cosa dovrebbe sempre fare l’imprenditore
italiano per poter pianificare strategie di successo?
Fare l’italiano e imparare dagli
statunitensi: abbiamo una cultura, un territorio, dei prodotti, delle
specificità, uniche al mondo. Alimentari, Moda, Arredamento, Design… a
proposito, è sempre possibile aggiungere del buon design a ogni prodotto (Apple
docet…). Il metodo, l’organizzazione, la pazienza e, spesso, le risorse, non
solo economiche, ma anche culturali, sono i nostri talloni di Achille. Siamo
imbattibili nella qualità intrinseca dei prodotti ma spesso inadeguati nel
marketing, nell’organizzazione, nei processi e, più in generale, nella cultura
di management.
11.Quanto è importante conoscere “l’etologia
dello shopper”, vale a dire il suo modo di comportarsi nel punto vendita e non
solo?
Trovo che etologia sia un termine molto adatto,
dato che rimanda al comportamento in uno specifico ambiente; gli psicologi
conoscono bene il cosiddetto errore di attribuzione di base, cioè la nostra
tendenza a soggettivizzare i comportamenti senza considerare il contesto in cui
le persone agiscono. Lo shopper è un “animale” sociale, economico, su cui si
scaricano le esigenze di coloro che gli delegano gli acquisti. Quindi,
conoscere lo shopper ma anche l’ambiente in cui si muove e i consumatori che
rappresenta.
12.Quanto valgono le segmentazioni, i quadrati
semantici, i profili di buyer persona secondo lei?
Vista la massa di informazioni da elaborare,
l’aggregazione degli shopper in cluster è, di fatto, una necessità. Su quali
fattori creare i cluster? I sociodemografici, gli acquisti? Ogni pre
configurazione esclude per definizione delle variabili che possono essere molto
rilevanti. Nella prassi corrente si creano prima le classi e poi si forzano le
variabili all’interno di esse. Al contrario, bisogna individuare i fattori che
per ogni shopper determinano l’acquisto, creando un ranking. Clustering sui
comportamenti e sui fattori realmente rilevanti; da qui la necessità di creare
cluster dinamici in “tempo reale” rispetto alle variabili rilevate e rilevanti.
Il mondo è troppo complesso per racchiuderlo in modelli definiti a priori. Nel
libro ho cercato di dare una panoramica su alcune tecnologie che, se ben
amalgamate fra loro, rendono tutto questo possibile.
Nessun commento:
Posta un commento