Io invidio profondamente Giorgio
Beltrami, che per professione gioca con il Lego. Beh non è proprio così, ma
quasi. Docente (Contract lecturer per la precisione) all’Università della
Bicocca di Milano, svolge attività di consulenza e formazione utilizzano il
Lego come strumento chiave per trasmettere concetti e far ragionare per
raggiungere ad una nuova consapevolezza. In LinkedIn è
molto attivo e ha pubblicato interessanti articoli sull’uso del Lego
e sulla sua
professione.
Non ho resistito alla tentazione di fargli qualche domanda
Da dove
è nata l'idea di usare Lego come strumento di formazione e stimolo alla
riflessione in gruppi professionali?
Il metodo LSP – detto anche pensare con le mani –
nasce come pratica aziendale interna a Lego: alla fine degli anni novanta la
necessità di innovazione ha portato alla creazione di gruppi di lavoro che
immaginassero scenari “concreti” in cui Lego potesse essere ancora leader di
mercato. Questa esperienza ha incontrato lo sforzo di alcuni docenti di una
Business School di Losanna che usavano i mattoncini Lego per aiutare i loro
studenti a rendere i concetti espressi nei loro report meno opachi e più
concreti possibili. Ed ecco qui il metodo LSP ora utilizzato in tutto il mondo
per facilitare gruppi professionali. Tra parentesi ci terrei a sottolineare
come il metodo LSP non sia un processo di formazione, ma di facilitazione. Un
“game” può essere un processo di formazione, un “play” come il metodo LSP è
invece un processo di facilitazione.
Quali
sono le tematiche gestibili con questa metodologia?
Il metodo consente di facilitare gruppi impegnati nel
migliorare i processi di innovazione e di business. Come? Mettendo a fuoco una
delle seguenti tre aree: il ruolo, le dinamiche del team o l’identità
aziendale. Il tutto in modo rapido, innovativo, coinvolgente e – ovviamente –
divertente. Quanto più una persona è parte del processo di apprendimento e
consapevolezza tanto più essa potrà contribuire allo stesso in modo molto
significativo: questo accade ogni volta in cui gestito un workshop LSP.
In che
cosa consiste una "sessione"?
Lo sviluppo tipico di una sessione consiste in una
fase di skills building seguita da una di lavoro individuale attraverso la
quale si approda a soluzioni o decisioni collettive e condivise. Le attività di
skills building consentono ai partecipanti di entrare nel metodo in modo
confortevole e senza strappi: nessun sfida improponibile o, al contrario,
attività poco motivanti. Attraverso poi specifiche “applicazioni” si procede da
una fase focalizzata sull’individuo (sia che si parli di ruolo, di team o di
organizzazione) per poi giungere al livello collettivo dove in gruppo giunge a
risultati e soluzioni condivise. Non essendo questo il contesto per una
descrizione dettagliata delle applicazioni e del core process tipico di un
workshop LSP (per questo ci sono wp dedicati o i corsi facilitatori) vorrei
limitarmi a evidenziare quanto sia importante il fatto di non prescindere mai
dal contributo individuale. Se si partisse subito con attività di gruppo il
rischio di perdere la specificità e originalità del contributo di qualcuno è
molto elevato. Quando invece ciascun partecipante mette fisicamente sul tavolo
il suo “pensiero” rappresentato da uno o più modelli da lui costruiti, quel
“pensiero” è lì presente in tutta la sua fisicità e diventa qualcosa da cui non
più possibile prescindere: e questa è sempre fonte di grande ricchezza,
innovatività e arricchimento reciproco.
Usi
LinkedIn come canale di sviluppo dei tuoi contatti: è un canale che possono
usare tutti?
Si utilizzo molto linkedin: in particolare ho un gruppo
dedicato al metodo LSP che gestisco con grande impegno. Nelle prime fasi
(quelle in cui bisogna emergere all’interno di una foresta) intervenivo molto
anche in gruppo dedicati alla formazione, ai formatori o alle nuove metodologie
formative. Questo mi ha consentito in breve tempo di acquisire visibilità e
suscitare interesse intorno al metodo. Ora sono concentrato sul mio gruppo:
quasi 500 membri di cui almeno 2 terzi non sono italiani e non sono miei
contatti personali. Questo mi ha convinto, da un lato, a fare una scelta molto
pratica, scrivere i post anche o solo in inglese e, dall’altro lato, ad
allargare il concetto di link anche ai miei contatti non personali o di primo
livello. In un caso e/o nell’altro l’impegno costante – e penso la carte distintiva
e vincente – è offrire contenuti e casi concreti in cui identificarsi: questo
genera interesse e business..
Quali
sono gli errori da non commettere in questo canale?
Sono due: trattarlo e viverlo come fosse Facebook e
soprattutto non offrire contenuti che mostrino a chi ti segue o entra in
contatto con te che essere un tuo contatto (follower o member conta poco) non
sia una perdita di tempo ma una reale occasione di arricchimento. Non posso
negare che penso sia proprio questo aspetto ad avermi fatto diventare una
figura di riferimento per il metodo LSP in Italia.
Quali
le strategie di base da usare?
Proprio su Pulse (Linkedin) ho postato un contributo
relativo alla mia positiva esperienza nell’utilizzo di Linkedin: 5 semplici
consigli. In sintesi: non puntare sulla quantità dei contatti ma sulla qualità,
al limite dell’essere selettivi; avere uno spazio personale (tipicamente un
proprio gruppo) coerente per contenuti e aspetto con il profilo personale di
Linkedin; non gestire più di uno o due gruppi: se fatto bene è impegnativo;
dare al proprio gruppo un nome che susciti interesse e che richiami in modo
esplicito il tema del gruppo; inserire il link al proprio profilo o gruppo
nella firma in calce alla mail che usiamo per il business.
Come si capisce quindi consiglio vivamente di avere
un proprio gruppo e di lavorarci sodo.
Lego e
LinkedIn: c'è un qualche collegamento?
Direi di si: tutte e due sono strumenti che
consentono di migliorare le performance attraverso un approccio proattivo,
collaborativo, innovativo e anche divertente.
Social
media e formazione innovativa: spesso ambiti fuggiti dalle PMI. perché? come
aiutare gli imprenditori a capire il valore di questi strumenti?
Se l’elemento comune è l’innovazione la risposta è:
la mancanza di cultura dell’innovazione. Forse una risposta scontata, ma
certamente ancora ben lungi da diventare realtà. Spesso si confonde
l’innovazione con la tecnologia: sembra che basti produrre o avere tecnologia
per essere innovativi. L’innovazione è prima di tutto un atteggiamento, una
scelta e un impegno.
E mi lasci dire che è prima di tutto investimento nel
capitale umano: senza di esso non c’è innovazione. E concludo con un dato
amaro: un recente report della Comunità Europea pone l’Italia all’ultimo posto
tra i 28 per innovazione rispetto alle risorse umane. Quindi c’è ancora molto
da fare e sicuramente strumenti come Linkedin o Lego Serious Play posso
facilitare e agevolare i processi di creatività che sono alla base
dell’innovazione.
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