Abbiamo già incontrato Matteo Testori e Dialogica in questo articolo in due puntate (qui la seconda), nel quale racconta le dinamiche che, oggi, governano la scelta di un prodotto a scaffale.
Oggi ci facciamo spiegare il sistema che Dialogica ha messo a punto per osservare come si comporta il consumatore nel momento della scelta e che cosa possiamo apprendere.
1 Il nuovo modo di comprendere il comportamento del consumatore e quello
di osservarlo da vicino: ci racconti come funziona il sistema che voi avete
messo a punto?
Dialogica si occupa di marketing, non di tecnologia. Non
sviluppiamo delle soluzioni, ma facciamo scouting per trovare le migliori
applicazioni per risolvere problemi concreti di marketing. A dire il vero siamo
abbastanza pressati da sempre nuove soluzioni “mirabolanti” (sulla carta…). Sai
come si dice: “ogni scarrafone è bello a mamma sua”! Il nostro approccio è
pragmatico: le testiamo nei punti vendita, confrontando le nuove proposte con
tecnologie da noi ampiamente sperimentate e validate, oppure verificando
l’output con dati standard. Dopo la valutazione, su una serie specifica di
parametri, valutiamo se adottare o meno i prodotti proposti. In pratica, una
nuova proposta per essere da noi accettata deve avere la “Tripla A”. La scelta
di non sviluppare internamente è per noi strategica: il tasso di sviluppo della
tecnologia è rapido e una nuova soluzione rischia di diventare obsoleta in
fretta. Noi raccogliamo diverse fonti dati, dai videoanalytics (sistemi passivi
di tracking degli shopper), ai dati di vendita/scanner, alle carte fedeltà e li
elaboriamo nella nostra piattaforma di analisi real time, Dianalytics.
I sistemi che noi utilizziamo nei punti vendita catturano
il comportamento degli shopper in tempo reale: chi sono, cosa fanno, dove
vanno, cosa guardano cosa e come acquistano. Sensori installati in varie
location misurano i comportamenti degli shopper, il loro percorso di acquisto.
Il tutto senza il bisogno di filmare: siamo infatti stati autorizzati dal
Garante della Privacy all’utilizzo dei nostri sistemi in qualsiasi location.
Quali sono i vantaggi di questo sistema?
Essere lì dove avviene l’acquisto.
Esserci tutti i giorni, tutto l’anno.
Non interferire con il normale processo di acquisto.
Segmentare gli shopper, le scelte finali e anche quelle
“mancate”.
In pratica: basi dati molto corpose, migliaia di casi ogni
giorno, quindi elevata significatività statistica; continuità di rilevazione;
dati in tempo reale; analytics per tutto lo shopper journey. Infine, costi più
contenuti rispetto alle tecniche tradizionali di ricerca.
Che tipo di informazioni possono essere ottenute? Quali principali
modi per interpretarle?
Le informazioni, come già accennavo, riguardano lo
shopper, i suoi comportamenti, gli acquisti. Una mole variegata di dati che
richiede modelli analitici piuttosto complessi, dato che devono interpretare
una realtà massimamente complessa: perché uno shopper allunga una mano e
acquista proprio quel prodotto? Il nostro compito consiste nel trovare chiavi
di lettura e di interpretazione piuttosto semplici aggregando moltissimi dati
disomogenei. La nostra piattaforma, Dianalytics, è una casa piena di stanze:
ciascuno apre quella a lui più utile: lo shopper, le promo, i fuori stock, le
dinamiche di acquisto, i planogrammi, le vetrine….Nelle stanze trova i dati,
gli indici, per capire e migliorare.
In particolare che cosa è possibile modificare grazie alle deduzioni
che derivano dalle analisi che siete in grado di fornire?
Ad esempio, nel largo consumo: un planogramma, per
renderlo più “shopper friendly”, quindi più efficace. Il mix del prodotto prima
del lancio. I piani promozionali, la disposizione delle isole promo e dei fuori
banco, il layout dei punti vendita, la posizione a scaffale, il numero di
facing…. Nei negozi tradizionali le nostre analisi sono usate per capire la
potenzialità dei negozi in funzione della loro location (pensiamo ad un centro
commerciale o ad una Boutique in centro città), del tasso di
attrattività/efficacia delle vetrine, dei flussi di ingresso, dell’efficacia
del personale di vendita….
S'
Possiamo anche effettuare delle analisi “what-if”
modificando alcune variabili, ad esempio il prezzo, e stimando il risultato.
Nella tua esperienza quanto viene deciso dal compratore davanti allo
scaffale e quanto invece è frutto di un’attività svolta dalle case produttrici
fuori dal punto vendita?
Secondo la nostra esperienza è difficile tracciare un
confine. Ricordo un vecchio manuale di merchandising di Coca-Cola che recitava
“A good merchandising: the last persuader. A bad marchandising: the first
dissuader”. Penso che sia ancora, dopo quasi trent’anni, vero. L’Advertising parla
ai consumatori, crea una identità (possibilmente unica) al prodotto, stabilisce
una relazione. Tutto ciò che avviene nei punti vendita conforta, rafforza,
stimola l’identità della marca e, se tutto va bene, suggerisce l’acquisto.
Che cosa cerca oggi un consumatore in un prodotto a scaffale?
Dipende molto dal prodotto: alcune grandi, grandissime
marche sono come le star di Hollywood: tutti, o quasi (teniamo conto delle
soggettività!) vorrebbero accompagnarsi a loro. Certo, se pensiamo a quanti
marchi/prodotti sono veramente indispensabili nell’assortimento di un
supermercato, beh, forse non arriviamo a 10/12 grandi marche. Il resto è terreno
di battaglia fra desideri, bisogni, possibilità degli shopper. Sotto le grandi
marche (peraltro anche queste sono affette dalla “scontite acuta”) si cerca il
rapporto qualità prezzo, la convenienza. Ancora sotto è noia: una pletora di
prodotti, francamente inutili, me-too delle marche, a volte mantenuti a
scaffale con gigantesche bombole di ossigeno, magari per riempire i volantini
dei retailer. Le private label sono un discorso a parte: stanno acquisendo
sempre più un ruolo nel panorama delle scelte dello shopper. Prodotti di buona
qualità, ad un prezzo concorrenziale, gradevoli e spesso leader nella loro
categoria.
Che cosa intende un consumatore per qualità?
Penso, in generale, quello che lo fa stare bene. La
qualità è un concetto soggettivo e, visto che gli shopper non sono dei tecnici,
ma sono spesso distratti (A proposito: quanti leggono gli ingredienti, le
informazioni nutrizionali, il prezzo al chilo?), hanno bisogno di segnali
semplici, chiari, rassicuranti. Non dimentichiamoci che in un supermercato si
sceglie un prodotto, ovviamente in media, in circa 4 secondi. Tempo
preziosissimo, se pensiamo che in pochi istanti si scarica tutta l’attività di
marketing, ma non solo, delle aziende!
Quanto è importante l’attività in rete delle imprese per influenzare i
consumatori?
Non sono un internettaro, anche per motivi anagrafici.
Pertanto ho delle competenze limitate.
In che modo è importante analizzare il loro comportamento,
grazie ad esempio al tipo di sostegno che voi offrite, per poter prendere
decisioni migliori specialmente per ciò che attiene la comunicazione?
I nostri sistemi son utilizzati nel Digital Signage, cioè
la comunicazione attraverso video in Stazioni, Aeroporti… Misuriamo le
audience, le segmentiamo, calcoliamo la pressione pubblicitaria su gruppi
specifici di individui. Riusciamo, in alcuni casi, a valutare l’efficacia delle
campagne pubblicitarie su target specifici. Lo facciamo anche in caso di eventi
sul territorio, cercando di avere degli indicatori di performance che
permettano di confrontare fra loro mezzi totalmente disomogenei, come eventi,
negozi, televisione….
In Italia molte imprese sono raccolte nella fascia con fatturati al di
sotto dei 100 milioni di euro, forse potremmo anche dire al di sotto dei 50
milioni di euro: che cosa possono fare queste aziende, che non hanno
evidentemente a disposizione delle cifre importanti da investire in attività di
ricerca, per non perdere il passo rispetto alle multinazionali?
Osservare i consumatori, stare sul mercato (leggasi nei
punti vendita), chiedere le opinioni dei clienti: raccogliere, organizzare,
utilizzare in modo sistematico le informazioni. A volte, lavorando con imprenditori, ci capita di porre una
domanda che imbarazza i nostri interlocutori: perché un cliente dovrebbe
comprare proprio il prodotto dell’azienda invece di uno concorrente? Le
risposte molto spesso sono vaghe… La qualità è migliore (ma la qualità non è un
attributo soggettivo? Quale shopper è capace di valutare oggettivamente la
qualità?) è la risposta più frequente. Il fatto è che la qualità, prendendola
come esempio paradigmatico, è ormai data per scontata: le private label offrono
buona qualità, i discount offrono buona qualità, ovviamente rispetto alle
aspettative dei loro shopper. Il fatto è che non possiamo appiattire tutto
sulla qualità (soggettiva e scontata) e sul prezzo. Noi compriamo per
fascinazione, vogliamo emozioni, sensazioni piacevoli, rinforzi positivi, e la
qualità (men che meno il prezzo!) non bastano a soddisfarci. Il vero problema
resta capire quale attributo particolare, unico, differenziante, fa scegliere
il nostro prodotto rispetto alla concorrenza: non è altro che il vecchio,
ritrito, ma poco compreso, brand positioning. Al Ries diceva che il positioning è il più importante aspetto del management. Come
dargli torto?
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