È partita da poco e ha già una valanga di fan. Si tratta
della web serie Dr.
Rob girata all’interno dell’Università
Campus Bio-medico di Roma. Un connubio curioso quello tra la comicità…
digitale e la seriosità dei un ente apprezzato in tutto il mondo.
Abbiamo chiesto a Luigi Granato, sceneggiatore della serie
web, di risponde ad alcune domande per aiutarci a capire come la scelta del
web, e questa scelta, si inserisca nell’attività di promozione dell’università
romana.
PP: La prima domanda viene da sè: cosa ha a che
fare una web series dal taglio
ironico con una struttura come il Campus
Bio-Medico rinomata per la sua eccellenza nel settore medico-scientifico?
LG: apparentemente poco o nulla, ma era proprio
questa la sfida iniziale: veicolare i temi e i valori fondamentali del Campus
Bio-Medico in maniera fresca, leggera e vicina alle nuove generazioni. Per fare
ciò abbiamo pensato di utilizzare il branded content come strategia di comunicazione
ed il web come piattaforma privilegiata. ll branded content ci permetteva
infatti di creare dei contenuti narrativi autonomi disancorandoci dal
linguaggio austero associato al campo scientifico e allo stesso tempo
conservando i valori etici connessi al Campus ed il tema medico, espropriato
però della componente ansiogena legata alla malattia. La produzione di una
sit-com medical ci è sembrata la risposta naturale a tali esigenze.
PP: E quali sono i vantaggi per il Campus?
Intendo dire, in questo modo non si corre il rischio che il contenuto, cioè la
sitcom, prevalga sul brand da comunicare, in questo caso il Campus?
LG: I vantaggi sono molteplici. In un certo
senso è vero che il contenuto prevale, ma non a scapito del brand, anzi a
supporto. Il branded content è la nuova frontiera del marketing e permette di
sottrarre dal panorama sovraffollato dell’offerta il brand da comunicare. Le
persone infatti riconoscono ormai le forme classiche di advertising e tendono
ad abbassare quasi inconsciamente la soglia d’attenzione rispetto al messaggio
del brand: è come se avessero sviluppato gli anticorpi rispetto a tutto ciò che
è “pubblicità”. Diversamente il branded content elimina completamente la
componente persuasiva del messaggio promozionale per concentrarsi sulla
componente narrativa facendo così leva sul bisogno innato dell’uomo di sentirsi
raccontare delle storie. Non storie qualunque ovviamente, ma storie che, come
dicevo prima, riprendano i temi e valori del brand da comunicare. Il brand
quindi diventa il (co)produttore di un contenuto narrativo del tutto autonomo e
creto ad hoc, che non viene più percepito come promozionale, ma affabulatorio e
d’intrattenimento, arrivando quindi con maggiore efficacia a destinazione. In
questo senso si può parlare di una sinergia costruttiva tra il brand e la
storia narrata, in questo caso tra il Campus e la web series prodotta.
PP: E rispetto alla scelta di privilegiare il
web?
LG: La scelta del web come piattaforma di distribuzione
ci dava la possibilità di centrare l’altro obiettivo: parlare alle nuove
generazioni. Il Campus Bio-Medico infatti è un policlinico universitario
frequentato da una moltitudine di giovani studenti cresciuti a pane e serie
americane. Vedere la propria università al centro di una serie, oltre ad
aumentare il loro senso di identità e appartenenza al Campus, li avrebbe resi i
primi fruitori e promotori di un prodotto del genere. Youtube è ormai
considerato dalle nuove generazioni alla stregua di una qualsiasi altro canale
attraverso il quale fruire di contenuti audiovisivi, meglio se dalla breve
durata. E quando un filmato su Youtube riscontra i favori del pubblico, qual è
la prima cosa che si fa? Si condivide attraverso i social network (Facebook, Twitter
ecc) rendendolo visibile a tutta una serie di persone che fino a qualche minuto
prima ne ignorava l’esistenza. In questo senso i social network permettono di
fare da cassa di risonanza dei contenuti audiovisivi apprezzati dagli utenti,
un po’ come succede con il passaparola.
PP: Entriamo ora nello specifico della web
series: chi è il Dr. Rob e che cosa rappresenta?
LG: Il Dr. Rob è un automa, un robot dalle
fattezze umane, tanto da sembrare a tutti gli effetti una persona in carne e
ossa. In realtà si tratta del più alto progetto di ingegneria messo a punto da
diversi poli universitari tra cui il Campus Bio-medico. Il Dr. Rob rappresenta
il sogno di realizzare un medico perfetto, un medico che, una volta che il
paziente ha esposto i sintomi, riesce immediatamente a fare la giusta diagnosi
e a somministrare la giusta cura. Senza errori! Ora bisogna solo testare il Dr.
Rob nella fase beta, ossia vedere come il Dr. Rob si relaziona con i pazienti
attraverso dieci visite ambulatoriali. Ed è proprio qui che la web series ha
inizio. Ma come vedremo le cose non andranno proprio come dovrebbero. Al Dr.
Rob vengono infatti affiancati due specializzandi del Campus: Sara per la parte
medica, Marco per la parte ingegneristica. Ma tra i due non scorre buon sangue
e così il giorno prima dell’inizio della fase beta, mentre sono impegnati in
uno dei loro battibecchi, Sara e Marco danneggiano accidentalmente il Dr. Rob
provocando nell’automa dei malfunzionamenti che appariranno come dei
comportamenti strani agli occhi dei pazienti, i quali ignorano la vera natura
del Dr. Rob. Toccherà proprio a Marco e Sara giustificare di volta in volta le
stranezze del Dr. Rob e aggiustarlo prima che si concluda la fase beta.
PP: Prima parlavi di valori da comunicare:
qual è il messaggio che vuole trasmettere una web series come il Dr. Rob?
LG: Come in ogni opera narrativa è nel finale
che si cela il messaggio. Senza svelare dunque quello che accadrà nell’ultima
puntata, posso dire che il mito di un medico robot che rappresenti la perfezione
verrà messo a dura prova e si scoprirà invece che l’unica “macchina perfetta”,
pur con tutti i suoi limiti, è l’uomo! La persona umana ha qualcosa che il
robot non potrà mai avere… ma per scoprire cosa vi invito a vedere l’ultima
puntata.
PP: Quali sono state le difficoltà che avete incontrato nella realizzazione della web serie?
LG: Le difficoltà maggiori sono state quelle
legate al tempo a disposizione. Abbiamo avuto infatti solo dieci giorni per
girare tutte le dodici puntate della serie. Considerato che per la prima e
l’ultima puntata avevamo anche bisogno di location particolari, abbiamo girato
le dieci puntate dell’ambulatorio in poco più di una settimana, solitamente una
al mattino e una al pomeriggio, costringendo tutta la troupe a ritmi serrati e
giornate di lavoro massacranti (è capitato di alzarci alle 6 del mattino e di
andare a letto alle 2 di notte). La nostra fortuna è stata quella di essere,
oltre ad una troupe di professionisti, un gruppo di amici che fanno questo
lavoro con passione e senza risparmiarsi. Un’altra difficoltà è stata quella di
far convivere un vero e proprio set cinematografico in un luogo che è deputato
a tutt’altro e a cose molto più importanti, trattandosi di un policlinico. In
questo senso i vari intoppi che si sono presentati a riguardo sono stati
superati ogni volta grazie alla disponibilità del Campus.
PP: Ci puoi raccontare qualche aneddoto sul set?
LG: Come dicevo sono stati
dieci giorni intensi e aneddoti ce ne sarebbero tanti da raccontare. Un aneddoto simpatico è legato
al giorno in cui dovevamo girare con le guest stars della serie: Osvaldo e
Destro, i due centravanti della Roma. Quel pomeriggio eravamo in comprensibile
fibrillazione, oltre che per l’emozione di dirigere sul set dei calciatori
della serie A, anche perché i due ci avevano dato circa due ore di
disponibilità e noi in quel tempo dovevamo girare un’intera puntata per la
quale solitamente impiegavamo dalle quattro alle sei ore. Ricordo che prima che
arrivassero i due giocatori della Roma, con Federico pianificammo e
cronometrammo tutte le varie scene da girare compresi il tempo per il trucco, i
vari ciak che avremmo dovuto fare, i tempi morti e le pause. Quando Osvaldo e
Destro arrivarono (in ritardo) eravamo tesissimi, innanzitutto perché non
sapevamo come comportarci con loro e poi perché non eravamo per niente sicuri
che saremmo riusciti a girare tutta la puntata. Ed invece sul set i due
giocatori si sono rivelati simpaticissimi, si prendevano in giro fra di loro e
sono riusciti a stemperare la tensione che avevamo accumulato. Alla fine,
complice anche la bravura dei due attori improvvisati, abbiamo girato tutto in
un’ora e mezza, pausa inclusa. Un miracolo che non siamo più riusciti a
ripetere.
PP: Che tipo di risposta avete avuto? Dal
Campus e dal pubblico intendo.
LG: Per quel che riguarda il Campus la risposta di studenti e dipendenti è stata al di sopra delle nostre aspettative: ancora oggi, a distanza di oltre un mese dalla messa online della prima puntata, il Dr. Rob è l'argomento più discusso nei corridoi e in sala mensa. Per quel che riguarda la risposta del pubblico siamo abbastanza
soddisfatti: ad oggi le visualizzazioni della prima puntata hanno superato
quota 8.700. Oltre al dato quantitativo l’elemento che ci dimostra
l’apprezzamento degli utenti è dato dai numerosi “like” su Youtube e Facebook e
dal diffondersi della web series fra i social network. Inoltre considerato che,
così come per il budget di produzione, non abbiamo potuto fare affidamento su
grandi mezzi economici per la promozione, il continuo aumento delle visualizzazioni
di tutte le puntate anche dopo settimane dalla messa on-line, dimostra che la
serie è piaciuta e il passaparola sta funzionando.
PP: Avete altri progetti del genere per il futuro?
LG: Il Dr. Rob è stato per
noi sicuramente un lavoro molto stimolante e gratificante, ma anche
un’opportunità per affinare il metodo di lavoro e l’affiatamento di gruppo,
tanto da convincerci a formare un gruppo di lavoro stabile fondando una nostra
società: Save the Cut. Quello che ci contraddistingue è la comunicazione non
convenzionale, in particolare il mettere al centro della nostra strategia
comunicativa la narrazione di buone storie per valorizzare un brand. Siamo
ancora in una fase work in progress, ma la macchina è partita e c’è grande
entusiasmo, Inoltre, alla luce dei buoni risultati del Dr. Rob, altre aziende
ci hanno già contattato per rilanciare la propria immagine attraverso prodotti
di questo genere.
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