venerdì 30 maggio 2014

Metterci la faccia: rendere umano il brand



Perché metterci la faccia è importante?
Perché è un gesto di coraggio.
In tutte le epoche è stato un gesto di grande efficacia. Oggi magari l’espressione, dice Aldo Cazzullo, è un po’ stantia, sdrucita, ma perché alla parola non segue il gesto.
Metterci la faccia non è solo vanità, è testimonianza.
È credere in quello che si fa.
Per questo Eataly l’ha scelta come strada per raccontare una storia.
Per raccontare come dietro ad un brand ci sono persone che quel brand rendono vero, che mantengono quella promessa.
Nel nostro piccolo l’abbiamo capito, e anche prima del colosso Eataly.
Pensato, proposto, attuato con un cliente.
E ne è venuto fuori un modo per raccontare la qualità di quello che Gran Brianza fa, non solo del prodotto.
Perché ormai la qualità del prodotto non fa più la differenza, fa il prerequisito, la condizione necessaria. Ma non sufficiente.
Ci ha messo la faccia l’azienda con un video che ne raccontala storia.
Ce l’hanno messa i dipendenti raccontandosi in questa bacheca di Pinterest e in questi video che li vedono scendere in campo per raccontarsi prima qui e poi qui.
Ce l’hanno messa i dettaglianti che avendo visto e toccato con mano (altro luogo comune che rivela molto se si supera la superficie) la verità si sono spesi per raccontare ai clienti la loro esperienza.

Quali altri modo conoscere per “metterci la faccia”? Che cosa ve ne sembra di questa scelta?

venerdì 16 maggio 2014

Il marketing del Camino





La pubblicità è l’anima del commercio. Si diceva. Dipende da come la fai.
Siamo sempre sul Camino di Santiago per trovare spunti da ciò che qui si scova: nella prima riflessione abbiamo scoperto 7 lezioni per andare oltre la banalità della nostra soluzione.
E poi A casa Verde cene ha insegnate altre su come coinvolgere i clienti.
Oggi vorrei condividere ciò che ho scoperto nel modo di promuovere le imprese a bordo strada. E la strada qui può essere solo una immagine, uno stimolo sia chiaro.
Che cosa cerca un pellegrino che cammina? Un luogo dove riposare, dove poter trascorrere le ore di sonno e le ultime ore di veglia in modo sereno e spendendo poco.
E dove può cercare queste informazioni?
Spesso chi cammina non si programma: non sa magari dove dormirà la notte, dove farà tappa. Dipende dalla stanchezza, dal tempo, da ciò che incontra.
Per questo lasciargli una impressione positiva conta.

E devo scegliere anche il luogo migliore per farlo.  Ad esempio i segnavia, sicuramente il posto dove tutti passano e sul quale tutti, passando, gettano uno sguardo.
Un biglietto scritto a mano, con una poesia, un saluto e l’invito a fermarsi da te quella sera lascia il segno, si fa ricordare.
Noi riusciamo ad essere sui “segnavia” dei nostri clienti? Quali sono? Dove sono? Come possiamo personalizzare il messaggio per loro?

Siamo alla penultima tappa, quasi alla fine: usciamo da un bosco, un po’ stremati, e appena messo piede in una radura che segna l’inizio di un villaggio ecco un enorme cartellone che inizia a suonare e a parlarci. È la pubblicità di un ostello che evidentemente si attiva quando “sente” la presenza. Curioso. Non posso non fermarmi a leggerlo e a scattare una foto. Porta ben visibile anche il suo codice QR.
Sappiamo strappare un sorrido e l’attenzione a clienti stanchi nel momento della loro decisione d’acquisto? Come facciamo ad attirare la loro attenzione?

Infine i visual, tanti, alcuni del tutto anonimi, altri, come quello che citavo ieri del Capricho di Josana molto efficaci: perché? Perché stanno nel posto giusto e perché riescono a dare il messaggio immediato. Nel caso di Josana con pochi segni: la salita ripida, la sagoma del pellegrino, l’invito a prendere forza. Immediato, semplice, ma non banale, diretto al punto.

Le nostre comunicazioni visuali sanno avere il medesimo impatto? Sappiamo evocare emozioni o trasmettere messaggi razionali facili da comprendere e ricordare?

martedì 13 maggio 2014

Trattativa e vendita: le regole essenziali di Roberto Rade



Ma la trattativa è parte integrante dell’attività di vendita?

Come potrebbe confermare la società che costruisce le più grandi navi da crociera del mondo, ed anche militari, sembra proprio di no.

Le navi non si vendono al botteghino ma si costruiscono in seguito alla realizzazione di accordi strategici molto articolati, ma poi bisogna metterle in mare.

Ed ecco che nascono i problemi:
  • un giorno l’armatore decide che vuole un nuovo impianto di aria condizionata che sia meno inquinante e più performante, ed ecco che inizia la lunga difficile ed estenuante negoziazione tra il progettista della climatizzazione ed il tecnico della società armatrice. Non è solo una questione di costi, ci sono cambiamenti strutturali da valutare.
  • se poi il cliente è la Marina Militare di un qualsiasi stato, le cose si complicano ulteriormente soprattutto se si deve intervenire sulle modifiche agli armamenti.
Ma un cantiere navale è un insieme di tante piccole aziende che lavorano in subappalto e quindi ci sono trattative in essere anche con i fornitori che operano a supporto, e dove l’ufficio acquisti del cliente deve rinegoziare molto spesso a seguito delle modifiche richieste dall’armatore, e succede che:
§  i tempi di consegna si dilatano, ma non si può modificare più di tanto il “cammino critico” previsto a meno che non ci siano sostanziali cambiamenti di rotta per quanto riguarda i costi.
§  i materiali da ordinare sono diversi o in quantità differente perché anche piccole variazioni a volte vanno ad incidere in modo molto netto sulle forniture.


Tutto ciò riguarda le negoziazioni di tipo tecnico. Ma la nave, come tutti i prodotti, viene realizzata dalle persone che lavorano e qui ecco che intervengono nuove criticità:
§  un ritardo in una consegna può o deve essere recuperato e i questi casi l’unica possibilità è ricorrere all’utilizzo degli straordinari. Detto così sembra facile ma problematiche contrattuali o sindacali sono in agguato, e difficili trattative a livello personale con le maestranze sono il quotidiano per un responsabile di officina.

                       

Tutto questo non è vendita ma è negoziazione organizzativa dove prevalentemente gli attori nel ruolo di “fornitore” e “cliente” sono tecnici molto preparati a compiti di ingegnerizzazione, ma poco inclini a gestire le tecniche di comunicazione necessarie a portare avanti una trattativa che non ha come obiettivo contenuti esclusivamente tecnologici.

In quali ambienti negoziali ci si può trovare?
Come prepararsi agli incontri con gli altri interlocutori?
Come prevenire gli ostacoli?


Chi vince in questo incontro/scontro?




Roberto Rade
Esperto consulente formatore nel campo della vendita, si pone come partner dei clienti per aiutare la forza vendita a sviluppare competenze sempre più capaci di fare la differenza La metodologia con la quale si sviluppa ogni attività d’aula segue i più moderni schemi di apprendimento del Behaviour Modelling. Le tematiche oggetto di interventi consulenziali e formativi, che per la maggior  parte dei casi sono costruite ad hoc seguendo le specificità del settore di appartenenza, comprendono:

•     Marketing
•     Tecniche di vendita base
•     Vendita complessa e BtoB
•     Tecniche di negoziazione
•     Customer service
•     Comunicazione e relazione
•     Public speaking
•     Time management
•     Leadership
•     Motivazione 
•     Problem solving e creatività
•     Team building e Teamwork
•     Coaching

L'indirizzo email di Roberto: bob51@cheapnet.it

mercoledì 7 maggio 2014

Il modello per differenziarsi: usa questo schema per avere successo nel mercato





Sono tante le tabelle che aiutano a ragionare sul proprio mondo per capire come migliorare, come dare un sempre maggiore valore ai nostri clienti.
Quello che va più di moda al momento il The Social Business Model Canvas Ce ne sono molti altri ovviamente. Così ho pensato di proporvene uno anche io costruito proprio sul tema di questo blog: la vendita referenziata. Come cioè valorizzare ciò che si offre al mercato per favorire il passaparola.

Ecco la mia proposta.

Ciò che vendo: la mia offerta
Quali sono le soluzioni che offri? Che problemi risolvi al tuo mercato?
Chi sono i tuoi partner: chi ti aiuta a raggiungere i tuoi clienti?
Dove raggiungi i tuoi clienti?


Come lo vendo: la mia credibilità
Come fai a renderti credibile? Dove dimostrai la tua credibilità?
Perché un cliente (potenziale) dovrebbe fidarsi di te?
Quale valore offri, gratuitamente, al mercato e alla comunità? Dove lo proponi?


A chi lo vendo: il mio mercato
Chi sono i tuoi clienti? Quanti anelli della catena distributiva puoi chiamare clienti?
Quanti e quali sono i segmenti del tuo mercato?
Perché i tuoi clienti più fedeli continuano a comperare da te? Quale valore trovano nella tua offerta?
Chi altro compete nel mercato e ti fa concorrenza diretta e indiretta?
Perché sei diverso da loro? Dove sta la tua differenza?

Chi vende per te: la referenza
Chi può parlare bene di te? Dove?
Perché parla bene di te? Che cosa dice?
Come puoi far conoscere al mercato i pareri favorevoli dei tuoi clienti?


Che cosa ne pensate? Che miglioramenti apportereste? Come potreste renderlo più efficace?

lunedì 5 maggio 2014

A casa verde: imparare il marketing da Sonia




Nel tratto che da Arzua porta a O’ Pedrouzo c’è un bar speciale che troverete citato da tutti i pellegrini. Nel gruppo su Facebook dove ho postato la foto ho ricevuto un sacco di commenti e di foto di altri passaggi. Alcune di sette anni fa. È un posto famoso dove tutti si fermano. E restano. Un pellegrino m’ha scritto di essersi fermato con i suoi amici alle 10.00 per un caffè e di aver ripreso la strada alle 15.30!


Come mai? Perché? Che cosa rende questo luogo –a casa verde- così famoso?


Che cosa possiamo imparare da Sonia, la sua proprietaria? Innanzitutto il sorriso. Non solo nell’incontro con me, ma anche in tutte le foto che vedo Sonia sorride. Ti mette a tuo agio. Ti dà la carica. Ti fa sentire a casa. A Casa Verde.
E racconta.
La ringrazi per l’empanada di carne e sembra che le hai fatto un complimento da re. Ti spiega che l’ha fatta lei –il ripieno- e una signora del villaggio –la pasta- e che ci tiene proprio tanto. Ti bacia. Ti offre un bicchierino di liquore d’erbe che fa lei. Ti fa vedere la sua collezione di banconote da tutto il mondo –riconosci la mille lire della Montessori!- lascia scrivere sui muri, lascia che tu lasci un tuo ricordo, il segno del tuo passaggio: mescola il suo con il tuo, adesso quel posto è un po’ anche tuo.
Sonia crea con grande empatia una atmosfera nella quale tutti stanno bene, e questo scatena la voglia di condividere con altri il piacere: ecco il passaparola.

Che cosa possiamo fare noi nella nostra attività per generare il medesimo desiderio? Per dare qualche cosa di più ai nostri clienti –che cosa è il nostro abbraccio? Il nostro bicchierino di liquore fatto in casa?- e farli sentire partecipi del nostro progetto, della nostra impresa?
Che cosa possiamo lasciar fare loro –i muri a disposizione per essere scritti, per diventare parte di una storia, della storia comune- perché si sentano così a loro agio da non volersene andare via più?
In quale modo, e dove –social media? E quali? Il nostro sito? Un giornale?- possono lasciare “scritto” il loro pensiero?


Sonia ha una pagina Facebook –ahi ahi, è una pagina persona e non azienda, ma forse in questo caso non è un errore perché a casa verde è un amico prima ancora che un bar- e lei risponde subito, appena scrivi qualche cosa di lei.
Siamo così tempestivi nel rispondere ai nostri clienti? Ai nostri clienti fedeli? Diamo loro uno spazio per parlare bene di noi?



In quale modo la nostra impresa può diventare una  casa verde?




venerdì 2 maggio 2014

7 lezioni di marketing e vendita dal Cammino di Santiago



C’è sempre da imparare. Ovunque tu vada. Devi solo stare con gli occhi aperti.
Vai sul Cammino di Santiago e torni a casa con una bella lezione di marketing.
Una manciata tra ristoranti ed hotel da segnalare, ma soprattutto quello che da loro ho appreso.
Posti da strada: messi nel mezzo del Camino, in località dove non ci passi per nessuna altra ragione, e dove non ci torni tutte le settimane.
Che potresti pensare: ho solo clienti da una volta, di passaggio, si fermano per caso. Poi ripartono. E agire di conseguenza: poca qualità, poco servizio.
Invece.
Ciò che mi ha colpito di questi posti è stata la loro attenzione, la cura nel darti tutto quello che desideravi, tu pellegrino sporco di fango e di pioggia, con pochi soldi da spendere, eri per loro come un re da accudire. Da coccolare. Che importa se la cerata fradicia e gli scarponi stonavano con i marmi e i parquet? La dolcezza era massima.
E che cosa ci guadagnano?
Solo il passaparola. Solo una segnalazione. Solo questa citazione.
E ti sembra poco?
E noi curiamo con questa attenzione i nostri clienti, anche quelli entrati solo per mettere un timbro sulle credenziali? E che poi magari si fermano perché affascinati da ciò che hanno trovato?  Calore per le membra intirizzite e calore per il cuore.
Ecco qua i campioni che voglio portare alla vostra attenzione come esempi, come benchmark perché da ognuno di loro si possa estrarre uno spunto utile per i nostri business.
Ecco 7 spunti che possiamo cogliere.
Nell’ordine come li ho incontrati sul cammino


Scoperto perché si pubblicizza lungo il percorso e in modo semplice: ti dice, prima della salita al Cebreiro, vetta che divide la Castiglia dalla Galizia, fermati qui per la notte e per rifocillarti. E così scopri un albergo che altrove definirebbero boutique, e due ragazzi che si fanno in quattro per aiutarti, per darti indicazioni, cure, suggerimenti, soddisfare quello che desideri dopo una giornata di cammino nella pioggia.
Noi siamo dove possiamo avere più impatto? Ci facciamo trovare? Ci facciamo ricordare?

Scendi giù dal colle dell’Alto do Poio dopo una notte trascorsa nella locanda terribile di santa Teresa che piove ancora e tira vento e scopri che a soli tre chilometri, che camminando fa quasi un’ora, c’è questo piccolo tesoro: caldo, ottimo formaggio, una signora delicata.  Peccato non averlo saputo prima. La ricordiamo, ma che cosa possiamo imparare? Come farci trovare prima? Come non nascondere la nostra perla?


Ancora un cinque chilometri più in basso scopri un piccolo paradiso: Rosa lo gestisce sembra quasi da sola. Il locale è bello e luminoso, caldo. La differenza la fa lei, Rosa. Che accoglie tutti con un sorriso, chiede, ti aiuta a metterti comodo, al caldo, mette le tue cose sul camino ad asciugare, sposta quelle già asciutte, ti fa conoscere le altre persone, corre incontro agli anziani. Risponde volentieri a tutte le tue richieste, senza mai smettere di sorridere. 
Incoraggia le persone a scambiarsi esperienze. E sul monitor del suo pc, proprio dietro al bancone, scorrono le immagini del suo cammino, fatto d’inverno, quando il locale è chiuso, con la neve. È forse corporate syorytelling? Un modo per farti sentire tutt’uno con lei? E noi come possiamo renderlo?



Ad Arzua incontri il PazoSantaMaria. Un micro villaggio ricavato da una vecchia fattoria. Uno splendore. La prima cosa che ti viene in mente: ho sbagliato destinazione. Ci sono salottini, camini, poltrone da countryhouse britanniche, stanze ampie con parquet, un bagno che sognavi da quando sei partito. Non è un posto da pellegrini.
Poi a cena, squisita, scopri che tutti gli ospiti sono come te, clienti da una notte sul cammino.
E la squisita accoglienza, con un maggiordomo –lo definirei così, e uno solo alla sera e uno al mattino- che sembra comparire non appena nella tua testa si formula un desiderio.
Come sappiamo stupire i nostri clienti? Superare le loro aspettative?  Abbiamo la pazienza e l’attenzione per rispondere alle loro domande anche quando per fornire soluzione dobbiamo impegnarci?



La proprietaria ci vede arrivare e ci viene incontro. Ci aiuta con gli zaini. Ci porta nella stanza. È orgogliosa della sua pensioncina. Ci porta a vedere le altre stanze libere. Ci suggerisce dove cenare. Ci spiega per la colazione. Sorride sempre.
Come possiamo andare incontro ai nostri clienti? Prevenirli?





E per finire due ristoranti.

Uno a Santiago: il Café restaurante Raxoi a sinistra giù dalla scalinata se dai le spalle alla facciata della cattedrale. Ottimo wifi (oltre che a un ottima cena) e un bellissimo film che mostra tutti i posti più belli del Camino. Il ragazzo che ci serve –siamo soli- è sempre sorridente, sempre pronto alla battuta, alla spiegazione. Viene più volte a sincerarsi che non desideriamo altro o abbiamo problemi. Che contrasto con un altro locale, anche quello semivuoto, dove cameriere e cuoco sembrano oppressi dalla delusione! Sappiamo dare il meglio ai nostri clienti anche nei momenti di difficoltà? Anche quando sono pochi? O ci lasciamo prendere dallo sconforto che li penalizza?

Ultimo un locale strepitoso a Muxia, proprio alla fine del cammino. Restaurante A de Lolo: anche qui pubblicizzato nel parcheggio dell’ultima tappa: la chiesa sugli scogli.
Parlano italiano, ti assistono nella scelta, il cibo è superlativo, c’è il wifi, ti servono con calma e cura, scherzano e raccontano, ma con discrezione senza essere invadenti.
Sappiamo parlare la lingua dei nostri clienti e rispettare i loro tempi?





E voi che lezioni avete appreso dai vostri viaggi?


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