lunedì 28 dicembre 2015

Scacciare i clienti





Metti che stai cercando un regalo per Natale, che pensi a prodotti cosmetici. Metti che vai a curiosare in un grande centro commerciale dove sono presenti bancarelle, o per meglio dire temporary stores. Metti che ne vedi una che ti ispira e ti metti a guardare i prodotti esposti. Ecco, se tu fossi la commessa al di là del banco che cosa faresti vendendo un cliente che tocca, guarda, annusa, osserva con curiosità?
Invece quello che è successo è che la persona in questione ha continuato a chiacchierare con un amico. Non solo, ad un certo punto, mentre la cliente continua a sottolineare la sua presenza con una evidente curiosità, la commessa propone “ci fumiamo una sigaretta?” ed esce dalla botteguccia per andare a fumare con l’amico.
La cliente va a prendersi un caffè, torna sperando che nel frattempo… invece la commessa è sempre lì con l’amico a chiacchierare. Allora va a fare una commissione e torna. Ancora nulla, la commessa è sempre impegnata a fare i fatti suoi. La potenziale cliente, frustrata, gira l’angolo e trova una farmacia, che vende prodotti cosmetici: appena entra nel negozio viene accolta da una sorridente esperta che la guida nell’acquisto.
Quando ripassa dalla bancarella scopre la commessa ancora intenta a fumare con un nuovo amico.

Quante vendite abbiamo perso, anche se non abbiamo una bancarella, perché abbiamo trattato i clienti così? Perché non abbiamo cercato di ascoltarli, non li abbiamo accolti, non li abbiamo cercati?

venerdì 18 dicembre 2015

Etichette parlanti: come comunicare valore anche qui. 1 Younivocal




La seconda puntata di questa indagine, l'intervista con buySecure, la trovate qui.
L'etichetta è diventata luogo di dialogo tra l'azienda e il cliente.
Il packaging, più in generale, permette di comunicare e interagire con il consumatore guadagnando valore e ottenendo fiducia.
In particolare l'etichetta si presta a più scopi, da un lato canale di marketing, dall'altro strumento di controllo e protezione del consumatore.
Ho chiesto a due imprese del settore, Younivocal e BuySecure, di raccontarmi che cosa si possa fare oggi per aumentare le vendite grazie ad un uso intelligente dell'etichetta.
Ecco, in questa prima puntata, le risposte di Roberto De Duro, co-fondatore di Younivocal, sull'argomento
  


Quali sono  gli usi che oggi le vostre etichette permettono?
  •        Garantire l'autenticità dei beni
  •        La tracciabilità delle merci
  •        Il controllo dei mercati paralleli
  •        Il customers engagement
  •        Lo storytelling
  •        La geo-localizzazione del bene
  •        Attivazione di garanzie sui prodotti


Chi sono i vostri clienti ideali? Che caratteristiche hanno

I nostri clienti sono i produttori ed i brand che ritengono importante l'univocità e l'autenticità di ogni singolo prodotto.

In che modo l’etichetta diventa “luogo” di dialogo con il cliente?

Differenzio le due figure da noi trattate
BRAND = produttore del bene
CLIENTE = consumatore
       L'etichetta già dal primo utilizzo è luogo di dialogo con il Cliente

       che avvicinando il suo smartphone  all'etichetta da informazioni
       sul prodotto.
       Visualizzando i prodotti correlati (ES. ho visto la borsa, i prodotti
       correlati potrebbero essere, cintura e scarpe o nuova collezione)
       il Cliente entra in contatto-indiretto anche con il BRAND che mette
       a disposizione  del Cliente informazioni utili per facilitarlo nell' acquisto.  

      Ancora... se il Cliente pubblica sul suo profilo social foto o informazioni
      del prodotto si ha un fattore pubblicitario moltiplicativo 
      il BRAND tramite la nostra APP riceve alcune informazioni del Cliente
      (nel pieno rispetto della Privacy) come età, il sesso e la posizione
      geografica del bene,  e può segmentare  la clientela ed i prodotti ed
      attivare campagne marketing mirate  (contatto-diretto).
     

Quali sono i vantaggi che la vostra etichetta offre?

Le nostre etichette non sono riproducibili, copiabili o duplicabili: ogni etichetta è unica al mondo.
Uno dei maggiori vantaggi è che la nostra soluzione è rivolta al consumatore.
Il consumatore è il protagonista, che può verificare prima e dopo l'acquisto
il prodotto, i materiali utilizzati, il processo produttivo, l'eco-sostenibilità del brand, ed altre informazioni tipico del prodotto:
               
un capo di abbigliamento - come si lava
un vino - come conservarlo e con cosa berlo
una caldaia - quando fare le manutenzioni quando sono state eseguite e che pezzi sono stati sostituiti
un profumo - che aromi sono utilizzati e su quali pelli ha una maggiore evidenza
un farmaco  - scadenze e modalità d'uso (sempre aggiornate), intolleranze e controindicazioni (sempre aggiornate) 
alimenti  - come conservarli, come utilizzarli e la tracciabilità
rifiuti  tracciabilità - dal confezionamento, al trasporto ed allo smaltimento o riciclo
diamanti - caratteristiche (carati, lucentezza, colore, ecc.)

TUTTO CON UN COMUNISSIMO SMARTHPONE

C’è un limite alla creatività nell’utilizzo della vostra etichetta?

Nessun limite, la nostra idea iniziale era il mondo della moda oggi abbiamo esplorato altri mercati ed ogni giorno ne troviamo di nuovi.

Che così si potrebbe aggiungere per facilitare il suo supporto alle vendite?

Il nostro limite è che siamo una STARTUP ed abbiamo difficolta a raggiungere i BRAND in quanto non abbiamo una storia alle spalle e quindi sufficiente credibilità. 


Il vostro è un prodotto molto tecnico: quanto conta il marketing nella sua promozione?

Fino ad oggi abbiamo fatto azione di Marketing sui Brand con tempi di risposta estremamente lunghi.
Ci siamo convinti che per ridurre i tempi si dovrebbero sviluppare campagne di Marketing o meglio di Sensibilizzazione sul consumatore costringendo il BRAND ad attivarsi con soluzioni innovative.        

Come state promuovendo oggi il vostro servizio?
      
     
Sito WEB 
Adwords
Twitter (dove siamo molto attivi, ma se devo dare un giudizio ha dato 0  contatti )
Radio
Fiere
Contatti diretti su potenziali clienti
Ricerche di mercato mirate su alcuni segmenti     






In che modo secondo voi il web è occasione di sviluppo e marketing?
       
Il Web da quanto da noi appurato in questi 3 Anni di attività è una buona occasione di sviluppo, con le aziende che siamo entrati in contatto molte ci hanno trovato sul WEB tramite i motori di ricerca , NON
TWITTER che per il nostro prodotto non sembra funzionare, è uno strumento per l'utente finale non per il BRAND.


giovedì 17 dicembre 2015

La lezione del rugby: le celebrazioni



Il mondo del rugby, nonostante l’entrata in vigore del professionismo nel 1995 abbia in qualche modo modificato lo scenario mondiale, ha sempre cercato di rimanere in un ambito che lo distinguesse il più possibile da altri sport di squadra. Pertanto ecco che tuttora sono in essere alcune celebrazioni che sono tipiche e significative solo di questo sport. La prima riguarda la consegna dei caps. Il cap è uno dei simboli del mondo del rugby e la celebrazione di questo rito è un fatto importante perché rappresenta un segno d'appartenenza alla ristretta elite di coloro che hanno giocato al più alto livello nella propria nazionale. Avere un cap non è solo collegato ad avere un numero più o meno elevato di presenze, ma questo cappellino ne è un segno tangibile a futura memoria. Un altro elemento celebrativo, sempre comunque molto ambito riguarda la consegna a fine di ogni partita, a qualsiasi livello di categoria, del premio al “man of the match”, cioè al giocatore che una giuria, normalmente di giornalisti, ha giudicato più meritevole di gloria poiché durante l’incontro ha manifestato più degli altri qualità e impegno. Non è solo una nomination ma è un vero e proprio trofeo. Inoltre vive più che mai la ricerca di supremazia in alcune sfide che risalendo a fatti storici, non solo rugbistici, vede la contrapposizione di alcune squadre, che in durante incontri ufficiali, vanno alla conquista di un ulteriore trofeo, oltre alla vittoria sul campo. A parte il titolo, ma non c’è un cimelio, che si aggiudicano la squadra che vince tutte le partite del 6 nazioni (Grande Slam) e quella che arriva ultima, sempre nel 6 nazioni (Cucchiaio di legno), si rifanno a questa tradizione:
TRIPLE CROWN
L’onore viene tributato alla nazione delle quattro delle isole britanniche (Inghilterra, Scozia, Irlanda e Galles) che riesca a sconfiggere le altre tre all’interno del Sei Nazioni. Inizialmente non era previsto alcun riconoscimento tangibile, per cui il Triple Crown si guadagnò il soprannome di Trofeo invisibile. Tuttavia, nel 2006, il principale sponsor del Sei Nazioni, commissionò un trofeo apposito consistente in un piatto d’argento.
CALCUTTA CUP
Il trofeo più antico e celebrato, solo tra Inghilterra e Scozia. Una maxiteiera con tre sobri manici a forma di cobra, realizzata fondendo le rupie avanzate nella cassa del disciolto Calcutta football club nel 1877.
MILLENNIUM TROPHY
Assegnato dal 1988 a chi vince la sfida tra Inghilterra e Irlanda. Ha la forma di un elmetto vichingo e fu introdotto nel 1988 in occasione della celebrazione del millennio della capitale irlandese Dublino.
CENTENARY QUAICH
Dal 1989 riservato alla vincente tra Scozia e Irlanda per festeggiare il secolo dalla prima sfida tra queste due nazionali. Il trofeo è una tipica coppa scozzese a due manici.
TROFEO GARIBALDI
Il cimelio più pesante del mondo. È stato realizzato piegando a forma di ovale una trave di ferro da Jean-Pierre Rives, il leggendario capitano francese, e premia la vincente tra Francia e Italia. È il trofeo dedicato a Giuseppe Garibaldi, eroe dell’Unità ma anche, dopo l’impresa dei Mille, generale dell’esercito transalpino nella guerra franco-prussiana del 1870. È stato istituito nel 2007 in occasione del bicentenario della nascita dell’eroe dei due mondi (nato a Nizza, oggi francese, ma allora parte del Regno di Sardegna, nel 1807).
BLEDISLOE CUP 
È una disputata tra le nazionali Australia e Nuova Zelanda. Deve il suo nome a Lord Bledisloe, il governatore generale della Nuova Zelanda che donò il trofeo nel 1931.
Se l'aggiudica la squadra che vince più incontri. Nel caso di uguale numero di vittorie, essa rimane al detentore.
Questo trofeo viene vinto dal 2006 da chi si aggiudica la sfida tra Australia e Sud Africa durante il Rugby Championship.
Dal 2006 se la contendono Nuova Zelanda e Sud Africa.   

Il Rugby e la formazione manageriale

Far nascere buone idee è una esperienza creativa e sicuramente stimolante. Per poterle trasformare in innovazioni di successo, è però necessario scegliere quelle fattibili, e quindi sviluppare un piano pratico per realizzarle.
Questa è una fase delicata del processo innovativo, perché è facile lasciarsi andare ad un ottimismo sfrenato: le persone, trascinate dall'entusiasmo per una nuova idea, possono sopravvalutarne il potenziale di successo, oppure sottovalutare ciò che serve a realizzarla.
Aiutare i collaboratori a migliorare i metodi di lavoro, responsabilizzarli ad operare in un ambiente più ricettivo, cercare le opportunità per applicare le innovazioni, sostenere l’applicazione pratica sono tutti fattori di sviluppo che meritano celebrazioni.



THIS IS RUGBY



Roberto Rade
Esperto consulente formatore nel campo della vendita, si pone come partner dei clienti per aiutare la forza vendita a sviluppare competenze sempre più capaci di fare la differenza La metodologia con la quale si sviluppa ogni attività d’aula segue i più moderni schemi di apprendimento del Behaviour Modelling. Le tematiche oggetto di interventi consulenziali e formativi, che per la maggior  parte dei casi sono costruite ad hoc seguendo le specificità del settore di appartenenza, comprendono:

•     Marketing
•     Tecniche di vendita base
•     Vendita complessa e BtoB
•     Tecniche di negoziazione
•     Customer service
•     Comunicazione e relazione
•     Public speaking
•     Time management
•     Leadership
•     Motivazione 
•     Problem solving e creatività
•     Team building e Teamwork




•     Coaching

venerdì 4 dicembre 2015

Proprietario o imprenditore?



C’è una grande differenza tra possedere una azienda, magari per averla ereditata, e svilupparla. Per certi versi è la differenza che caratterizza il manager dal leader: il primo, nella migliore delle ipotesi, fa le cose bene, il secondo fa le cose giuste. Oppure, usando le parole di John Maxwell, il primo ricopre un ruolo, il secondo vive una qualità.
Spesso si incontrano proprietari di imprese che sembra si sforzino di portarle all’insuccesso. Capita quando il ruolo di comando, che diventa esercizio di potere invece che di guida, è stato ereditato senza che nessuno si sia preoccupato di rinforzare i legami familiari con potenti dosi di competenze e di esperienza, magari maturata in contesti lontani da quelli dell’azienda di casa.
Ci sono specialisti che si occupano di questo settore, della trasmissione ereditaria di imprese, e non è di questo che posso e voglio parlare.
Vorrei soffermarmi su alcune sindromi, tutte curabilissime, che fioriscono in questi contesti  dove l’impreparazione –che è patologia sanabile e non imputabile- si mescola, ahimè, con presunzione ed arroganza –queste purtroppo ascrivibili al personaggio e non al contesto- per produrre effetti devastanti.
In genere si riconosco facilmente perché sono rinvenibili in alcune frasi spia, lampeggiatori di atteggiamenti ricorrenti, tutti volti a negare ogni corresponsabilità addossando ad altri i fallimenti.

Le più frequenti?
“Abbiamo sempre fatto così”
“Il nostro mercato è differente” con l’aggravante “il nostro mercato è in crisi”
“La concorrenza è più avanti”
“I prezzi calano e i consumatori spariscono”
“Il problema è a monte”.

A volte queste sconcertanti espressioni si annodano ad una scelta perdente per l’approssimazione che deriva da due curiosi atteggiamenti:
-       il primo ritiene che per “fare queste cose” –che sia una strategia di marketing, l’allestimento di uno stand, un poster, una pagina social media, una campagna pubblicitaria, un sito web- non ci sia bisogno di una specifica competenza, ma chiunque, perdendo cinque minuti dopo cena, lo possa fare con mezzi economici e risparmiando molto;
-       il secondo, che è figlio o padre del primo, decidete voi, ritiene che poi in fin dei conti queste cose qui non servono, basta il prodotto, e ce la caviamo sempre.

Così poi capita che in fiera ti trovi accanto uno stand ben fatto e tu fai la figura dell’incompetente, o il tuo sito finisce al centro degli esempi “come non fare”, o che la tua pubblicità divenga lo zimbello del momento, come capitò di recente ad una catena di negozi di scarpe.


Per essere imprenditori, in qualunque settore, la regola base è una sola: riconoscere di non essere in grado di fare tutto da soli e circondarsi di risorse, interne od esterne, competenti e capaci. Certo bisogno imparare a delega e a rinunciare al potere. In genere chi lo fa ne acquista uno molto maggiore: la credibilità.

mercoledì 2 dicembre 2015

Conoscere lo shopper per vendere di più: intervista a Matteo Testori 2



Riprendiamo l’intervista a proposito del saggio Shopper Marketing  edito da Franco Angeli. Stiamo dialogando con l’autore, Matteo Testori, CEO di Dialogica, a proposito del nuovo panorama del retail e di come le decisioni vengano prese nel punto vendita nel “momento della verità”. La prima parte dell’intervista la trovate qui.

6.    In che modo il web può influenzare le decisioni di acquisto dello shopper?
Il web sembra essere, almeno fino ad ora, un canale prima di tutto informativo. Dalle ricerche, all’estero e in Italia, emerge che molti acquisti, non solo di beni che prevedono una spesa elevata, sono preceduti da una ricerca sul web. Anche il contrario è vero: si verifica nei negozi e si acquista sul web, dove spesso si trovano ottime occasioni. Insomma, anche nei canali di vendita regna e regnerà sempre di più la contaminazione, la sovrapposizione, l’ibrido.
7.    Lo shopper marketing serve solo per le grandi aziende che vendono nella grande distribuzione? Oppure può essere utile anche per chi vende nel canale tradizionale?
Assolutamente si: nel libro analizzo molti casi extra gdo; pensiamo ai beni di lusso. In alcuni casi abbiamo trovato nei negozi femminili più shopper uomini che, ovviamente, acquistavano per un regalo o una ricorrenza. Nel canale profumerie abbiamo analizzato il comportamento dello shopper rispetto a marche più o meno note all’avvicinarsi di alcune ricorrenze. Una marca di profumi per donna, appena lanciata, dimostrava un appeal molto maggiore del brand “storico” fino all’approssimarsi della…festa della Mamma. Più ci si avvicinava alla ricorrenza, più il brand “storico” aumentava il suo appeal (e le sue vendite). Comportamenti magari contro intuitivi che debbono essere ben chiari ai retailer e alle marche.
8.    Nel suo libro spiega che il momento della verità in realtà… si è moltiplicato in tanti momenti della verità? può spiegarci, in poche parole, perché e come?
Perché il processo di acquisto è lungo…una vita. Pensiamo alle marche a cui siamo assolutamente fedeli, magari fin dalla nostra giovinezza. Ciascuno di noi ha una ristretta rosa di marche a cui non è disposto a rinunciare: profumi, birre, automobili, smartphone, jeans, ma anche saponette, shampoo, creme, bibite…Più è elevato il nostro investimento emotivo più è per noi difficile abbandonare una marca che è un compagno, un segnale di come vogliamo rappresentarci nel sociale. A questi brand diamo fiducia e questa deve essere ricambiata, sempre. La iper competitività ha fatto proliferare le “sirene” che tentano lo shopper ogni giorno. Ecco che i momenti della verità si moltiplicano: essere in cima alla lista di desiderabilità (quello che si dice “top of mind”) è una trincea da difendere più che una eredità da coltivare. Riuscire a catturare l’attenzione e l’interesse davanti a uno scaffale, dove mediamente si decide in 4 secondi, è vitale. In questa manciata di secondi si scarica l’attività di marketing (e gli investimenti!) dell’impresa.  La prova e il riacquisto del prodotto sono strettamente legati fra loro: se il consumatore non gradisce un prodotto è assai difficile che lo ricompri. Il servizio post vendita, per molti consumatori un vero calvario fra call center, centri di assistenza che sembrano progettati per soddisfare una procedura piuttosto che un cliente. Insomma: aumento della complessità, ma anche incremento delle possibilità per coloro che hanno voglia di ascoltare, guardare, verificare, capire e…investire.
9.    Quali errori non deve commettere la PMI oggi nel proporre i suoi prodotti sul mercato?
Non deve cedere alla tentazione di copiare. Come diceva Jack Trout, insieme al Al Ries il precursore del concetto e dei modelli di brand positioning, se hai di fronte qualcuno che è molto più grande di te, cioè con molte più risorse, alla lunga perderai. Nei mercati la dimensione conta, e non poco. L’impresa piccola deve, ripeto, deve, avere una profonda convinzione; se non sarà sempre più innovativa dei suoi competitors soccomberà. En passant: questo è sempre stato il credo di Steve Jobs…
10.Che cosa dovrebbe sempre fare l’imprenditore italiano per poter pianificare strategie di successo?
Fare l’italiano e imparare dagli statunitensi: abbiamo una cultura, un territorio, dei prodotti, delle specificità, uniche al mondo. Alimentari, Moda, Arredamento, Design… a proposito, è sempre possibile aggiungere del buon design a ogni prodotto (Apple docet…). Il metodo, l’organizzazione, la pazienza e, spesso, le risorse, non solo economiche, ma anche culturali, sono i nostri talloni di Achille. Siamo imbattibili nella qualità intrinseca dei prodotti ma spesso inadeguati nel marketing, nell’organizzazione, nei processi e, più in generale, nella cultura di management.
11.Quanto è importante conoscere “l’etologia dello shopper”, vale a dire il suo modo di comportarsi nel punto vendita e non solo?
Trovo che etologia sia un termine molto adatto, dato che rimanda al comportamento in uno specifico ambiente; gli psicologi conoscono bene il cosiddetto errore di attribuzione di base, cioè la nostra tendenza a soggettivizzare i comportamenti senza considerare il contesto in cui le persone agiscono. Lo shopper è un “animale” sociale, economico, su cui si scaricano le esigenze di coloro che gli delegano gli acquisti. Quindi, conoscere lo shopper ma anche l’ambiente in cui si muove e i consumatori che rappresenta.
12.Quanto valgono le segmentazioni, i quadrati semantici, i profili di buyer persona secondo lei?

Vista la massa di informazioni da elaborare, l’aggregazione degli shopper in cluster è, di fatto, una necessità. Su quali fattori creare i cluster? I sociodemografici, gli acquisti? Ogni pre configurazione esclude per definizione delle variabili che possono essere molto rilevanti. Nella prassi corrente si creano prima le classi e poi si forzano le variabili all’interno di esse. Al contrario, bisogna individuare i fattori che per ogni shopper determinano l’acquisto, creando un ranking. Clustering sui comportamenti e sui fattori realmente rilevanti; da qui la necessità di creare cluster dinamici in “tempo reale” rispetto alle variabili rilevate e rilevanti. Il mondo è troppo complesso per racchiuderlo in modelli definiti a priori. Nel libro ho cercato di dare una panoramica su alcune tecnologie che, se ben amalgamate fra loro, rendono tutto questo possibile.

lunedì 30 novembre 2015

Conoscere lo shopper per migliorare le vendite retail: intervista con Matteo Testori (I)





Uno dei compiti del consulente di marketing è quello di restare aggiornato. Quotidianamente. Se non studi di continuo, se non cerchi di capire le tendenze, se non ti guardi in giro –ad esempio io ho provato a farlo in un recente viaggio negli States proponendo le mie deduzioni in alcuni mini-video raccolti in questa playlist- se non cerchi continuamente di capire dove sta andando il (nuovo) mondo. È perciò con grande interesse che ho divorato –letto in un giorno- questo saggio di Matteo Testori che esamina, con rigore, e illustra, con brillante linguaggio, come è variato il profilo del consumatore e come si debba ragionare oggi per vendere al cliente finale. Ne
Shopper Marketing  proposta da Franco Angeli Editore, l’autore, Matteo Testori, CEO di Dialogica, la cui missione è quella “di migliorare i risultati nel vero momento della verità: l’ ultimo miglio, il punto d’incontro fra l’azienda e i clienti” ci guida alla comprensione di come gli shopper, vedremo poi chi sono, prendono decisioni nel punto vendita. Interessante vero?
Per spiegare meglio questo mondo mi sono fatto aiutare dall’autore. Dato l’interesse che il tema presenta, ho spezzato la lunga ed intrigante intervista in due puntate. Ecco la prima.

1.            Qual è lo scopo del suo libro? che cosa vuole suggerire all’imprenditore italiano?
Il testo vorrebbe suggerire all’imprenditore e al manager una cultura dell’ascolto, della comprensione, dell’utilizzo corretto di strumenti di ricerca adeguati. Ho intitolato uno dei capitoli centrali del libro “se non lo conosci non puoi migliorarlo”. Se non conosciamo chi è il nostro cliente, sia esso consumatore finale o responsabile degli acquisti, non possiamo migliorare la nostra offerta. Nei mercati la non conoscenza è uno delle trappole più insidiose. Ciò che noi non sappiamo sarà prima o poi scoperto da un nostro concorrente.
2.            Qual è il più grande cambio di scenario nel mondo retail avvenuto negli ultimi anni?
La risposta più ovvia è l’e-commerce. In realtà ciò che emerge dal libro, e che è ben chiaro ai retailer più avveduti, è la necessità di definire e realizzare dei negozi (reali o virtuali), degli assortimenti, delle esposizioni veramente pensate per i clienti. Si fa riferimento alla shopping experience complessiva come uno dei fattori che più influenzano lo shopper, i suoi acquisti, la sua fedeltà. La stratificazione degli assortimenti nel tempo, mi riferisco specialmente ai prodotti di largo consumo nel canale GDO, è stata dettata e guidata da criteri di opportunità, di vantaggio economico immediato (pensiamo ai contributi per l’inserimento di nuovi prodotti). Ciò ha prodotto un proliferare di prodotti francamente inutili per lo shopper, magari necessari per riempire dei volantini promozionali, ma del tutto sovrapposti con altri brand o con le private label. Forse non tutti sanno che sul tempio di Delfi, oltre alla famosa scritta “conosci te stesso” era scolpita anche la frase “niente di troppo”. La psicologia dei consumi ha dimostrato negli ultimi anni che l’eccesso di offerta disorienta e, nel complesso, deprime le vendite della categoria di prodotti.
3.            Chi è lo shopper “protagonista” del libro che appunto si chiama Shopper Marketing?
Colui che acquista, chi entra in un negozio, nella maggior parte dei casi, almeno fino ad ora, fisico. Siamo tutti noi nel momento in cui acquistiamo qualcosa, per uso personale, per la famiglia, per fare un regalo. Non necessariamente lo shopper è il consumatore; chi acquista si fa carico delle necessità, dei desideri, di chi poi userà i prodotti. Lo shopper deve fare convivere i desideri dei consumatori con le sue disponibilità economiche, deve districarsi nel marasma delle offerte speciali, mediando fra convenienza e soddisfazione del consumatore finale.
4.    Il category management è una tecnica obsoleta? Perché?
Direi proprio di no, anzi: in un periodo di turbolenza dei consumi e di erosione dei margini per industria e distribuzione la gestione efficace ed efficiente delle categorie, intesa come soddisfazione complessiva di segmenti diversi di shopper, assortimenti, spazi dedicati, posizioni all’interno dei punti vendita, redditività, resta un pilastro centrale per i retailer. Idem per l’industria. Purtroppo, come spesso accade, le buone pratiche di marketing si scontrano con le esigenze contrastanti degli operatori economici. La maggior parte dei progetti di category non hanno un concreto sviluppo per molti motivi, non ultimo il conflitto fra esigenze deli produttori e dei distributori
5.    Molti acquisti sono frutto di decisioni prese molto distanti dal punto di vendita: come influenzarle?
Ancora, il vecchio marketing che, se usato correttamente, è più attuale che mai: capire in dettaglio chi sono i consumatori e cosa vogliono. A questo punto mi pare necessario aggiungere l comprensione e segmentazione degli shopper. Solo quando ho capito in profondità chi sono, cosa desiderano, quali fattori spingono le persone ad allungare una mano e acquistare proprio quel prodotto e non un altro, chi e come lo utilizzerà, che valore genererà, chi o cosa può sostituirlo, allora posso ricorrere alla leva pubblicitaria, ovviamente nelle sue molteplici e variegate forme. I vecchi media; tv, radio, stampa, affissioni e, su certi target, con codici, stili, modi specifici, il web.
6.    In che modo il web può influenzare le decisioni di acquisto dello shopper?

Lasciamo un po’ di suspense… la risposta a questa domanda nella prossima puntata.

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