giovedì 25 febbraio 2016

Siamo leader di settore! Differenziarsi così? Non benissimo!



Ho provato perché mi ero arrabbiato. Sì, perché quando per radio senti TRE pubblicità, che già ti seccano perché in macchina vuoi sentire la musica, non sproloquiare di materassi, spurghi fognari e caldaie, ma poi tutte e tre le imprese si definiscono "leader di settore", allora propria ti.... girano.
Per due motivi
  • il primo è che non ti basta affermarlo per esserlo, e pensi davvero che io corra a comperare da te perché sei leader di settore?
  • il secondo è che manchi di fantasia, se ricorri ancora a queste definizioni tipo "così bianco che più bianco non si può"
Così ho fatto la prova: e i numeri parlano da soli.
In Italia ci sono 665mila aziende leader di mercato, quasi 11 milioni di aziende leader nel settore (quale settore?) e addirittura 13 milioni 600 mila aziende innovative. 
Prima considerazione: fosse vero! Avremmo un PIL che manco Cina, Brasile e Usa messi insieme.
Seconda considerazione: considerato che non può essere vero -basta guardarsi in giro- perché senti il bisogno di descriverti così? Non hai fantasia? Non hai un contenuto migliore da presentare? 
Che cosa vuol dire dinamico, innovativo?
Oggi devi differenziarti, la domanda alla quale devi fornire una risposta è una sola e semplice: "perché devo comperare da te invece che da un tuo concorrente?". E credimi "perché siamo dinamici, innovativi e leader del settore" non è la risposta giusta.
Serve una mano?

martedì 23 febbraio 2016

Rp e Sport System: un corso per conoscere dinamiche e strategie





Volentieri ospito la presentazione del corso di Elena Puliti a proposito di Comunicazione, PR e Sport. 


Negli ultimi anni, con l’avvento delle pay tv e del web, lo sport ha svolto una funzione di comunicazione, diventando un linguaggio internazionale ma con una dimensione che tiene conto delle nostre radici e la valorizzazione del territorio. Questo ha portato a un cambiamento radicale nel modo di comunicare, ma soprattutto l’esigenza da parte delle società sportive, di passare dal volontariato al professionismo anche nella comunicazione.
Nel corso di formazione “Relazioni pubbliche e comunicazione sportiva”, a cura di Elena Puliti (Giornalista professionista, consulente per la comunicazione nell’ambito sportivo), le linee di sviluppo saranno affrontate attraverso le principali e più innovative declinazioni: la credibilità strategica della comunicazione di crisi delle aziende sportive, soprattutto nella gestione e il controllo degli strumenti di comunicazione nel web 2.0 l’importanza del rapporto personale del comunicatore d’azienda per presidiare e mediare le notizie, la brand image e lo spin doctoring per gli sportivi e per gli sponsor.
Gli obiettivi e i contenuti saranno fortemente enfatizzati dall’esperienza dei relatori e dalle attività di analisi di case study interpretate da illustri manager e professionisti del settore, tra cui: Maurizio Losa (giornalista ex vicedirettore RAI Sport), Claudio Albanese (head of communication and external relations Juventus football club); Roberto Monzani (social media manager FC Internazionale); Roberto Pelucchi (giornalista della Gazzetta dello Sport), Pietro Pisano (responsabile comunicazione Hellas Verona).
I Destinatari del Corso sono i professionisti in cerca di approfondimenti e aggiornamento digitale nella comunicazione e nel marketing, manager aziendali, consulenti, studenti di marketing e comunicazione, rappresentanti di associazioni.
L’incontro formativo darà diritto al riconoscimento di 100 crediti ai Soci Ferpi in via di qualificazione. Per esigenze di natura organizzativa e logistica, le iscrizioni dovranno pervenire entro il 23 febbraio 2016. Il corso si svolgerà solo al raggiungimento di un numero minimo di 8 iscritti.

Per informazioni ed iscrizioni: casp@ferpi.it

lunedì 22 febbraio 2016

La lezione del rugby: la gestione del tempo



La durata di una partita è di 80 minuti suddivisi in due tempi da 40 minuti ciascuno. La partita poi termina con l’uscita della palla dal campo di gioco o con un passaggio in avanti o con il tentativo di trasformazione di un calcio a seguito di un fallo. Durante la partita si possono avere due tipi di espulsioni: cartellino giallo per 10 minuti, cartellino rosso per tutta la partita. Il cartellino rosso viene dato quando un giocatore commette un fallo grave che mette in forte pericolo l’incolumità dell’avversario, quando avviene una rissa molto violenta o quando un giocatore già sanzionato con una ammonizione precedente minore, viene nuovamente sanzionato. Nel caso di cartellino rosso la squadra deve cercare il più possibile di riorganizzarsi limitando i danni. È punito sempre, invece, con il cartellino giallo il cosiddetto “antigioco”. Cos’è l’antigioco? È qualsiasi azione, commessa da una persona all’interno del recinto di gioco, che è contraria alla lettera e allo spirito delle regole del gioco. In questa categoria, punita sempre con calcio di punizione, in molte circostanze si aggiunge anche il cartellino giallo. L’antigioco comprende:
§  Ostruzionismo: non è possibile intervenire su giocatori non in possesso del pallone; due avversari che corrono verso il pallone si possono spingere solo di spalla; un giocatore di terza linea non deve impedire al mediano di mischia avversario di muoversi intorno alla mischia
§  Gioco sleale: nessun giocatore deve volontariamente infrangere una regola, perdere tempo, allontanare il pallone
§  Falli ripetuti: se una squadra commette infrazioni ripetute ad un certo punto il primo giocatore che la commette nuovamente paga per tutta la squadra con l’espulsione temporanea
§  Gioco pericoloso: non si può placcare al collo, placcare anticipatamente o in ritardo, caricare, trattenere o colpire un avversario senza pallone (eccetto le varie fasi di mischia), pestare o calciare un avversario, placcare a braccio rigido o placcare un giocatore i cui piedi non sono a terra.
Nonostante si giochi in 15 contro 15 avere un giocatore in meno è molto penalizzante. Cosa può fare una squadra per superare indenne questo tempo? Oltre a una riorganizzazione di gioco deve cercare di gestire il tempo. Se si trova in fase difensiva deve placcare a più non posso, ma questo tipo di gioco normalmente consuma ancora più energie, quindi deve cercare di guadagnare il più presto possibile il possesso della palla e gestirla cercando di usare sapientemente i calci per portare gli avversari nella loro zona di difesa. È tutto tempo guadagnato anche quello che passa tra l’uscita della palla, lo schieramento dei giocatori per la rimessa laterale ed il lancio. Se si trovano nella metà campo avversaria devono provare il più possibile a mantenere il possesso attraverso la tecnica del “pick and go” (raccogli la palla e avanza) contro il muro degli avversari con il sostegno dei tuoi compagni delle linee avanzate. Anche questa attività è dispendiosa di energie ma se condotta con efficacia, con occhio al cronometro, può far guadagnare minuti preziosi.

Il Rugby e la formazione manageriale

  • Le scadenze si sovrappongono?
  • È difficoltoso riuscire a gestire le priorità?
  • Le attività urgenti hanno il sopravvento sulla vostra programmazione delle attività?
  • Le interruzioni esterne condizionano le attività che state svolgendo?
  • Vi sentite stressati a causa di imprevisti continui?
  • Essere in grado di usare le tecniche per dare priorità alle cose importanti rispetto a quelle urgenti
  • Riconoscere i “ladri del tempo" ed i modi di occuparvi di loro

Ciò non significa che ciascuno di noi controlla completamente le proprie giornate. Tuttavia, ognuno di noi ha la possibilità di esercitare un certo controllo che, con molta probabilità, è più alto di quanto crediamo.

THIS IS RUGBY



Roberto Rade
Esperto consulente formatore nel campo della vendita, si pone come partner dei clienti per aiutare la forza vendita a sviluppare competenze sempre più capaci di fare la differenza La metodologia con la quale si sviluppa ogni attività d’aula segue i più moderni schemi di apprendimento del Behaviour Modelling. Le tematiche oggetto di interventi consulenziali e formativi, che per la maggior  parte dei casi sono costruite ad hoc seguendo le specificità del settore di appartenenza, comprendono:

•     Marketing
•     Tecniche di vendita base
•     Vendita complessa e BtoB
•     Tecniche di negoziazione
•     Customer service
•     Comunicazione e relazione
•     Public speaking
•     Time management
•     Leadership
•     Motivazione 
•     Problem solving e creatività
•     Team building e Teamwork

•     Coaching

lunedì 15 febbraio 2016

Il mondo dell'e-commerce: intervista a Valentina Sala




Valentina Sala (in coda trovate una biografia ufficiale) è una delle persone più influenti della Rete, almeno in Italia: lo sguardo con il quale analizza le evoluzioni continue dei social media e dei trend è sempre lucido e profondo. Linkedin è il suo campo principale di gioco, nel senso che qui è molto attiva. Anche Twitter la vede molto attiva con un account personale che vanta più di 3600 followers di qualità. Se devo scegliere la sua principale area di focalizzazione indico quella dell’e-commerce. Proprio a proposito di questo mondo le ho rivolto alcune domande. Le sue risposte sono illuminanti

Gestire il marketing di un negozio on-line: quali sono le sfide che affronti ogni giorno?
Innanzitutto Paolo ti ringrazio per l’opportunità di raccontare un po’ del mio lavoro e del mondo dell’e-commerce.
Iniziamo dalla parte che preferisco: le sfide. L’e-commerce porta con sé delle logiche della vendita tradizionale, quindi credo che le sfide principali da affrontare ogni giorno siano 3:
1. portare visitatori al sito
2. creare un ambiente - parlo di prodotti, design, servizi, contenuti - che porti all’acquisto
3. conoscere sempre meglio i clienti già presenti e sviluppare una relazione duratura e di fiducia con loro

Questo significa pianificare attività di promozione e di lead generation più adatte agli obiettivi e al settore, analizzare i dati del sito e delle vendite e modificare strategia e layout in base ai dati raccolti. Ah, il tutto condito da tanti, tantissimi test.


In che modo è possibile sfruttare la rete per promuovere un sito e-commerce?
La rete offre tantissime possibilità di promozione per un sito di vendita online. Ovviamente ognuna ha propri obiettivi, specificità e anche costi!

Andiamo dal keyword advertising al social media marketing, passando per l’influencer marketing, l’email marketing e l’inbound marketing (perdonami tutti questi termini in inglese, ma tradurli in italiano non ha molto senso).

Diciamo che negli ultimi anni le possibilità sono aumentate moltissimo. Alcuni strumenti sono davvero molto efficaci:

- Influencer marketing: ovvero la creazione di relazioni tra brand e influencer di settore in modo che entrambi ne traggano vantaggio. Questa tipologia di attività, è molto più veloce e diretta se fatta online. Ed ha molto più eco.

- Retargeting: o come lo chiamo io ‘ti perseguito finché non compri’, è un modo per andare a colpire con pubblicità mirata e personalizzata chi ha già visitato il nostro sito (o chi ha un profilo simile ai visitatori).

- Social media: interessanti per quello che riguarda la relazione e il dialogo con i clienti e il customer service. Trasparenza, ascolto e fiducia, questi gli obiettivi del social media marketing per l’e-commerce.
Se si tratta di Instagram e Pinterest invece, parliamo di ispirazione

L’importante, quando si redige una strategia di digital marketing, è tenere presente che tutte le azioni compiute sul web sono misurabili. Quindi bisogna mettersi nell’ottica di poter tracciare i dati e analizzarli.

Fai ampio uso LinkedIn: qual è la strategia che pensi sia vincente?
Mi ha fatto piacere leggere l’intervista a Mirko Saini. Da lui e altri amici professionisti ho imparato a vedere Linkedin come uno strumento molto efficace per il personal branding. Ho ancora molta strada da fare, ma ti posso dire che già mettendo in pratica due o tre consigli, i risultati arrivano.
Prima di tutto ho ottimizzato il mio profilo. Job title, descrizione delle varie attività e tutto il resto tenendo sempre bene in mente l’obiettivo: farsi trovare da chi cerca una persona nel mio ruolo e crescere in autorevolezza nel mio ambito d’azione.
Poi cerco di condividere aggiornamenti ogni giorno e di seguire e commentare altri profili di mio interesse. La logica è quella dell’arricchimento personale e dei followers. E infine Pulse: per chi come me non ha (ancora un blog) è davvero uno strumento utile ed efficace per fare content marketing e personal branding.
La costanza è fondamentale ed è anche la cosa più difficile per me. Ma come succede per i piani di marketing, se devo decidere dove investire, come prima cosa guardo quali strumenti mi hanno dato i miglior ritorno sugli investimenti. Posso dirti che per il mio business personale, Linkedin è uno di questi.

Che tipologia di aziende della tua esperienza possono utilizzare la rete per promuovere i loro prodotti?
Tutte, nessuna esclusa.
Gli strumenti sono tanti e tutti differenti. Davvero non riesco a trovare un settore - o una dimensione aziendale - che possa ignorare il web (mobile incluso) per fare promozione.
E’ ovvio che per fare B2B sceglieremo alcune strade piuttosto che altre. Però ti posso dire che all’ultimo corso di e-commerce marketing che ho tenuto, uno degli studenti possiede un armeria e vuole aprire il sito e-commerce per tutta la parte di accessori.
L’importante è partire con lo studio del mercato, l’analisi interna ed esterna e redigere un buon business plan (o la strategia di marketing) e non approcciarsi al web sulla base di mode o per sentito dire.

È possibile raggiungere anche l’estero secondo te?
Assolutamente sì. Il bello della rete è proprio questo: non ha confini.
Di recente è uscito uno studio che dimostra che i gradi di separazione tra le persone sono poco più di 3. Ciò vuol dire che in teoria mi separano solo 3 contatti da Obama o dal Papa.
Ci sono mercati meno facili, come la Cina o la Russia, per via della complessità normativa e culturale. Ma l’internazionalizzazione delle aziende è una delle strade da percorrere senza indugi in questo periodo. E si può fare in modo graduale.
Le imprese italiane sono state troppo ferme dentro i confini, e ora pagano caro il prezzo di aver lasciato campo libero a quelle straniere.

Quali sono le reali opportunità per le imprese italiane, penso soprattutto alle PMI agli artigiani, di crearsi un mercato con l’e-commerce?
Le opportunità sono in crescita, lo dicono tutti gli studi di settore. Purtroppo non è l’eldorado.
L’apertura di un sito e-commerce richiede investimenti importanti, sia per gli studi preventivi, che per l’infrastruttura e il sito e non da ultimo per la promozione e la gestione.
Ci sono soluzioni più o meno onerose sia in termini di investimenti monetari che di tempo e di altre risorse, come per esempio i marketplace: Amazon, Ebay, Etsy solo per citarne alcuni.

Le piccole aziende hanno possibilità, ma devono mettere in conto la necessità di investimenti iniziali e soprattutto di un piano strategico con basi solide.
Insomma, l’e-commerce non è un’attività che si improvvisa o che si ‘prova’.


Un accenno di risposta l’ho dato nella domanda precedente, anche se limitata all’e-commerce.
La rete è uno strumento straordinario perché flessibile, veloce e accessibile a tutti. Ma queste caratteristiche hanno ahimè rappresentato anche un limite. Perché troppe aziende (o persone fisiche) credono di poter improvvisare e fare da soli.

Il primo errore, il più grande, che si possa fare approcciando alla rete è la mancanza di obiettivi e strategia. Troppo spesso vedo account social aperti per moda, senza un perché o una direzione. Oppure investimenti altissimi in pubblicità online fatti senza avere un’idea del pubblico di riferimento e senza aver prima analizzato la propria presenza (vedi il sito internet)

In rete, ma consentimi di dirlo, anche offline, non è possibile applicare un modello di successo a tutti i settori e in tutti i casi. Si deve necessariamente partire dalla definizione degli obiettivi che si vogliono raggiungere e dall’analisi delle risorse a disposizione.
Tutto il resto è pura imitazione.

Un altro errore che costa caro a molti, in rete, è la mancanza di trasparenza.
Parlo per i singoli e per le aziende allo stesso modo. La comunicazione ha perso la gerarchia di un tempo, ora emittente e destinatario del messaggio si compenetrano e confondono in un circolo virtuoso.
Pensare di ‘andare online’ omettendo informazioni o mascherando errori o disfunzionalità non è la strada migliore. La rete non perdona, la rete ha potere. Indaga, conosce, approfondisce. Devi essere disposto a metterci la faccia e ad essere pronto e disponibile al confronto.

Un’altra cosa da non fare è essere approssimativi e incostanti.
Il web è uno strumento complesso e sempre in evoluzione. Per poterlo usare in modo efficace, lo si deve analizzare e conoscere nel dettaglio. Capirne le logiche, le modalità di azione, i linguaggi. Bisogna essere curiosi e sperimentare.
Riproporre la propria presenza offline, tale e quale anche in rete, non ha senso.
Il web è fatto di relazioni. Se si è incostanti e monotoni, il legame si spezzerà.


Sei anche trainer di Social Media strategy:  che cosa ha imparato della tua attività da aula?
E’ un aspetto del mio lavoro che amo follemente, proprio perché mi permette di imparare sempre cose nuove o avere stimoli per approfondirne delle altre.
Affiancare persone o aziende mi ha permesso di conoscere vissuti dei Social che non conoscevo. Punti di vista molto distanti dal mio, ma reali e con cui cimentarmi.
Ho imparato che la cultura digitale non è affatto scontata. E che dobbiamo essere noi professionisti del settore a prendere per mano realtà distanti cercando di far comprendere meglio le logiche di questo mondo ‘astratto’.

Ho imparato che i migliori risultati li ha chi non si approccia ai social in modo tecnico o commerciale. Ma piuttosto chi ha di base una passione viva per la propria attività.
E soprattutto, che non tutti sono portati per questo tipo di attività, mentre troppo spesso sento dire ancora che ‘può farlo chiunque’.



Quanto ritieni possibile e valida la costruzione di un network tra professionisti questo settore?
E’ già realtà. La rete per me è innanzitutto connessione tra persone. Il mio percorso è iniziato grazie ad un tweet. E alla persona che dall’altra parte mi ha gentilmente risposto.
Ci sono moltissimi esempi di networking fatto bene. Sai perché funziona? Perché non possiamo sapere e fare tutto da soli. L’unione fa davvero la forza.
Non è detto che sia facile, soprattutto perché molto spesso la logica individualista prevale sull’obiettivo comune. Non è facile trovare professionisti e colleghi disposti a ‘cedere’ il proprio sapere e a lavorare per qualcosa che non sia solo il guadagno personale.
Ma per fortuna sul mio cammino ho incontrato tante persone che la pensano come me e con le quali è possibile fare squadra.
Non si tratta di volontariato, mi preme specificarlo. Ma di una logica win-win dove gli sforzi dei singoli, se uniti, possono raggiungere risultati molto più grandi



Valentina Sala
E-commerce e web marketing manager.
Aiuto aziende e privati a sviluppare una strategia di vendita online vincente, affiancandoli dall'analisi del progetto fino alla definizione del piano di marketing e alla formazione delle risorse che devono occuparsene.

Sono responsabile dei corsi di formazione su web, social media marketing e e-commerce per OkNetwork digital media agency

mercoledì 10 febbraio 2016

Etichette luogo di difesa e dialogo con il consumatore. Intervista a Domenico Montemurro


Dopo la presentazione di Younivocal etichette parlanti (la trovate qui), ecco quella di buySecure. Non si tratta di aziende concorrenti, ma di due modi e stili di far diventare le etichette luogo di protezione e conversazione tra l'azienda e il cliente.

Una etichetta che offre sicurezza e dialogo. È la proposta di buySecure che offre ai produttori la possibilità di sfruttare il confezionamento per dare un servizio maggiore al consumatore. In termini innanzitutto di sicurezza e di protezione contro le contraffazioni, come viene illustrato in questo articolo de La Stampa di qualche anno fa. Ecco in un breve video come funziona il sistema.

Ho chiesto a Domenico Montemurro, che di buySecure di 3CSystem è il General Manager, in quale modo funziona la loro soluzione.
Abbiamo voluto creare un canale di comunicazione relazionale tra produttore e consumatore. Il codice, che il produttore inserisce sull’etichetta, viene interrogato dai consumatori, utilizzando l’applicazione gratuita buySecure disponibile per ogni smartphone, e illustrerà in qualsiasi lingua una serie di informazioni riguardanti il prodotto, permettendo un dialogo tra loro e il produttore in tre differenti stadi:
-      prima dell’acquisto per verificare la genuinità del prodotto (se vero, di origine certa, non scaduto, non rubato, non ritirato dal mercato) e informazioni dettagliate sul prodotto
-      al momento dell’acquisto per accedere alle informazioni riservate al solo acquirente
-      dopo l’acquisto per ricevere dal produttore informazioni e messaggi promozionali dedicati, suggerimenti sull’uso del prodotto, così come segnalazioni di prossima scadenza o eventuale ritiro del prodotto dal mercato.

Quali sono state le sfide che avete dovuto affrontare?
Molte aziende sono particolarmente attive nel proporre iniziative di marketing innovative e nella cura e protezione della propria clientela.

Nello sviluppo della soluzione, infatti, abbiamo innanzitutto tenuto conto delle reali esigenze che il comparto manifatturiero ci ha manifestato: creare un canale relazionale di comunicazione, per coinvolgere nel processo di verifica, conoscere e curare la propria clientela, e allo stesso tempo offrire uno strumento di controllo del prodotto dalla produzione al post vendita, flessibile dal punto di vista tecnico e a costi contenuti.


Quali sono i vantaggi di buySecure?
Nella nostra esperienza alcuni dei benefici, che si ottengono dall'utilizzo del sistema buySecure, a supporto delle iniziative già effettuate dalle aziende, sono i seguenti:
-      aumentare il valore percepito del marchio/prodotto, nonché incrementare le vendite, grazie ai servizi aggiuntivi offerti ed alla protezione nel pre e post vendita;
-      inviare messaggi promozionali mirati in funzione degli acquisti effettuati;
-      monitorare le vendite e le preferenze dei consumatori in tutto il mondo;
-      ridurre i mancati ricavi, conseguenza della circolazione di prodotti contraffatti, illegittimi o di origine incerta;
-      identificare, in tempo reale, i responsabili della distribuzione nei mercati non autorizzati e di dumping;
-      controllare la produzione dei terzisti;
-      individuare e bloccare le partite di prodotti rubati, richiamati, scaduti o sospetti.

 

 E per il consumatore? Quali i vantaggi per lui?
I vantaggi del consumatore sono i seguenti:
-      - verificare l’autenticità del prodotto già prima di effettuare l’acquisto
-      essere garantito dal produttore sia prima che soprattutto dopo l’acquisto, cioè lungo tutto il ciclo di vita del prodotto (buySecure, per esempio, è l’unico sistema che avvisa il consumatore che il prodotto è stato ritirato dal mercato anche dopo l’acquisto)
-      verificare la reale origine del prodotto (per eliminare, ad esempio, truffe commerciali riguardanti l’italian sounding)
-      leggere tantissime informazioni, ben oltre quelle presenti in etichetta, nella propria lingua (ogni produttore può inserire nel sistema testi in qualsiasi lingua ed il consumatore riceverà le informazioni nella lingua del proprio smartphone)
-      utilizzare una sola App in tutto il mondo per verificare qualsiasi prodotto (dal ricambio dell’auto al giocattolo del proprio bambino, dal vino al capo di abbigliamento, …): un solo strumento semplice adatto a qualsiasi utilizzatore.

Come state promuovendo il prodotto? Quali strumenti di marketing utilizzate?
Siamo un’azienda atipica: i nostri utenti finali sono i consumatori che interrogano i codici buySecure sui prodotti, ma i nostri clienti e veicoli di comunicazione sono le aziende manifatturiere; in questa fase loro devono comunicare ai propri consumatori di acquistare solo prodotti identificati con il codice buySecure, utilizzando gli stessi canali utilizzati in passato (abbiamo scelto e registrato questo marchio proprio per dare la possibilità ai produttori di creare facilmente campagne di comunicazione mirate ed efficaci che mirino alla protezione dei consumatori e non alla brandizzazione di un marchio altrui) e di conseguenza i consumatori verificheranno la genuinità dei prodotti di quello specifico produttore già prima dell’acquisto.
Per quanto riguarda la penetrazione sul mercato, stiamo promuovendo la soluzione solo attraverso un network globale di system integrators (B2B); nulla ancora abbiamo fatto per farci conoscere dagli utenti finali. Questo sarà un passo successivo quando, raggiunto un numero consistente di downloads, inseriremo nell’App uno strumento di fidelizzazione e di acquisti sicuri che da un lato invoglierà gli utenti attivi ad utilizzare buySecure con frequenza costante, dall’altro farà conoscere buySecure a coloro che ancora non la hanno utilizzata.

Come si inseriscono il web e i social media nella vostra strategia di promozione?

Diventeranno uno strumento fondamentale di sviluppo del business, ma soltanto nella seconda fase, cioè quando sul mercato globale saranno presenti un numero rilevante di codici buySecure su diversi prodotti di diversi brand.

lunedì 8 febbraio 2016

Il momento della scelta a scaffale: che cosa si può imparare. Intervista a Matteo Testori


Abbiamo già incontrato Matteo Testori e Dialogica in questo articolo in due puntate (qui la seconda), nel quale racconta le dinamiche che, oggi, governano la scelta di un prodotto a scaffale.
Oggi ci facciamo spiegare il sistema che Dialogica ha messo a punto per osservare come si comporta il consumatore nel momento della scelta e che cosa possiamo apprendere.



1     Il nuovo modo di comprendere il comportamento del consumatore e quello di osservarlo da vicino: ci racconti come funziona il sistema che voi avete messo a punto?

Dialogica si occupa di marketing, non di tecnologia. Non sviluppiamo delle soluzioni, ma facciamo scouting per trovare le migliori applicazioni per risolvere problemi concreti di marketing. A dire il vero siamo abbastanza pressati da sempre nuove soluzioni “mirabolanti” (sulla carta…). Sai come si dice: “ogni scarrafone è bello a mamma sua”! Il nostro approccio è pragmatico: le testiamo nei punti vendita, confrontando le nuove proposte con tecnologie da noi ampiamente sperimentate e validate, oppure verificando l’output con dati standard. Dopo la valutazione, su una serie specifica di parametri, valutiamo se adottare o meno i prodotti proposti. In pratica, una nuova proposta per essere da noi accettata deve avere la “Tripla A”. La scelta di non sviluppare internamente è per noi strategica: il tasso di sviluppo della tecnologia è rapido e una nuova soluzione rischia di diventare obsoleta in fretta. Noi raccogliamo diverse fonti dati, dai videoanalytics (sistemi passivi di tracking degli shopper), ai dati di vendita/scanner, alle carte fedeltà e li elaboriamo nella nostra piattaforma di analisi real time, Dianalytics.
I sistemi che noi utilizziamo nei punti vendita catturano il comportamento degli shopper in tempo reale: chi sono, cosa fanno, dove vanno, cosa guardano cosa e come acquistano. Sensori installati in varie location misurano i comportamenti degli shopper, il loro percorso di acquisto. Il tutto senza il bisogno di filmare: siamo infatti stati autorizzati dal Garante della Privacy all’utilizzo dei nostri sistemi in qualsiasi location.

Quali sono i vantaggi di questo sistema?

Essere lì dove avviene l’acquisto.
Esserci tutti i giorni, tutto l’anno.
Non interferire con il normale processo di acquisto.
Segmentare gli shopper, le scelte finali e anche quelle “mancate”.
In pratica: basi dati molto corpose, migliaia di casi ogni giorno, quindi elevata significatività statistica; continuità di rilevazione; dati in tempo reale; analytics per tutto lo shopper journey. Infine, costi più contenuti rispetto alle tecniche tradizionali di ricerca.

Che tipo di informazioni possono essere ottenute? Quali principali modi per interpretarle?
Le informazioni, come già accennavo, riguardano lo shopper, i suoi comportamenti, gli acquisti. Una mole variegata di dati che richiede modelli analitici piuttosto complessi, dato che devono interpretare una realtà massimamente complessa: perché uno shopper allunga una mano e acquista proprio quel prodotto? Il nostro compito consiste nel trovare chiavi di lettura e di interpretazione piuttosto semplici aggregando moltissimi dati disomogenei. La nostra piattaforma, Dianalytics, è una casa piena di stanze: ciascuno apre quella a lui più utile: lo shopper, le promo, i fuori stock, le dinamiche di acquisto, i planogrammi, le vetrine….Nelle stanze trova i dati, gli indici, per capire e migliorare.

In particolare che cosa è possibile modificare grazie alle deduzioni che derivano dalle analisi che siete in grado di fornire?
Ad esempio, nel largo consumo: un planogramma, per renderlo più “shopper friendly”, quindi più efficace. Il mix del prodotto prima del lancio. I piani promozionali, la disposizione delle isole promo e dei fuori banco, il layout dei punti vendita, la posizione a scaffale, il numero di facing…. Nei negozi tradizionali le nostre analisi sono usate per capire la potenzialità dei negozi in funzione della loro location (pensiamo ad un centro commerciale o ad una Boutique in centro città), del tasso di attrattività/efficacia delle vetrine, dei flussi di ingresso, dell’efficacia del personale di vendita….
S'
Possiamo anche effettuare delle analisi “what-if” modificando alcune variabili, ad esempio il prezzo, e stimando il risultato.

Nella tua esperienza quanto viene deciso dal compratore davanti allo scaffale e quanto invece è frutto di un’attività svolta dalle case produttrici fuori dal punto vendita?
Secondo la nostra esperienza è difficile tracciare un confine. Ricordo un vecchio manuale di merchandising di Coca-Cola che recitava “A good merchandising: the last persuader. A bad marchandising: the first dissuader”. Penso che sia ancora, dopo quasi trent’anni, vero. L’Advertising parla ai consumatori, crea una identità (possibilmente unica) al prodotto, stabilisce una relazione. Tutto ciò che avviene nei punti vendita conforta, rafforza, stimola l’identità della marca e, se tutto va bene, suggerisce l’acquisto.

Che cosa cerca oggi un consumatore in un prodotto a scaffale?
Dipende molto dal prodotto: alcune grandi, grandissime marche sono come le star di Hollywood: tutti, o quasi (teniamo conto delle soggettività!) vorrebbero accompagnarsi a loro. Certo, se pensiamo a quanti marchi/prodotti sono veramente indispensabili nell’assortimento di un supermercato, beh, forse non arriviamo a 10/12 grandi marche. Il resto è terreno di battaglia fra desideri, bisogni, possibilità degli shopper. Sotto le grandi marche (peraltro anche queste sono affette dalla “scontite acuta”) si cerca il rapporto qualità prezzo, la convenienza. Ancora sotto è noia: una pletora di prodotti, francamente inutili, me-too delle marche, a volte mantenuti a scaffale con gigantesche bombole di ossigeno, magari per riempire i volantini dei retailer. Le private label sono un discorso a parte: stanno acquisendo sempre più un ruolo nel panorama delle scelte dello shopper. Prodotti di buona qualità, ad un prezzo concorrenziale, gradevoli e spesso leader nella loro categoria.

Che cosa intende un consumatore per qualità?
Penso, in generale, quello che lo fa stare bene. La qualità è un concetto soggettivo e, visto che gli shopper non sono dei tecnici, ma sono spesso distratti (A proposito: quanti leggono gli ingredienti, le informazioni nutrizionali, il prezzo al chilo?), hanno bisogno di segnali semplici, chiari, rassicuranti. Non dimentichiamoci che in un supermercato si sceglie un prodotto, ovviamente in media, in circa 4 secondi. Tempo preziosissimo, se pensiamo che in pochi istanti si scarica tutta l’attività di marketing, ma non solo, delle aziende!

Quanto è importante l’attività in rete delle imprese per influenzare i consumatori?
Non sono un internettaro, anche per motivi anagrafici. Pertanto ho delle competenze limitate.
In che modo è importante analizzare il loro comportamento, grazie ad esempio al tipo di sostegno che voi offrite, per poter prendere decisioni migliori specialmente per ciò che attiene la comunicazione?
I nostri sistemi son utilizzati nel Digital Signage, cioè la comunicazione attraverso video in Stazioni, Aeroporti… Misuriamo le audience, le segmentiamo, calcoliamo la pressione pubblicitaria su gruppi specifici di individui. Riusciamo, in alcuni casi, a valutare l’efficacia delle campagne pubblicitarie su target specifici. Lo facciamo anche in caso di eventi sul territorio, cercando di avere degli indicatori di performance che permettano di confrontare fra loro mezzi totalmente disomogenei, come eventi, negozi, televisione….

In Italia molte imprese sono raccolte nella fascia con fatturati al di sotto dei 100 milioni di euro, forse potremmo anche dire al di sotto dei 50 milioni di euro: che cosa possono fare queste aziende, che non hanno evidentemente a disposizione delle cifre importanti da investire in attività di ricerca, per non perdere il passo rispetto alle multinazionali?

Osservare i consumatori, stare sul mercato (leggasi nei punti vendita), chiedere le opinioni dei clienti: raccogliere, organizzare, utilizzare in modo sistematico le informazioni.  A volte, lavorando con imprenditori, ci capita di porre una domanda che imbarazza i nostri interlocutori: perché un cliente dovrebbe comprare proprio il prodotto dell’azienda invece di uno concorrente? Le risposte molto spesso sono vaghe… La qualità è migliore (ma la qualità non è un attributo soggettivo? Quale shopper è capace di valutare oggettivamente la qualità?) è la risposta più frequente. Il fatto è che la qualità, prendendola come esempio paradigmatico, è ormai data per scontata: le private label offrono buona qualità, i discount offrono buona qualità, ovviamente rispetto alle aspettative dei loro shopper. Il fatto è che non possiamo appiattire tutto sulla qualità (soggettiva e scontata) e sul prezzo. Noi compriamo per fascinazione, vogliamo emozioni, sensazioni piacevoli, rinforzi positivi, e la qualità (men che meno il prezzo!) non bastano a soddisfarci. Il vero problema resta capire quale attributo particolare, unico, differenziante, fa scegliere il nostro prodotto rispetto alla concorrenza: non è altro che il vecchio, ritrito, ma poco compreso, brand positioning. Al Ries diceva che il positioning è il più importante aspetto del management. Come dargli torto?

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