lunedì 8 febbraio 2016

Il momento della scelta a scaffale: che cosa si può imparare. Intervista a Matteo Testori


Abbiamo già incontrato Matteo Testori e Dialogica in questo articolo in due puntate (qui la seconda), nel quale racconta le dinamiche che, oggi, governano la scelta di un prodotto a scaffale.
Oggi ci facciamo spiegare il sistema che Dialogica ha messo a punto per osservare come si comporta il consumatore nel momento della scelta e che cosa possiamo apprendere.



1     Il nuovo modo di comprendere il comportamento del consumatore e quello di osservarlo da vicino: ci racconti come funziona il sistema che voi avete messo a punto?

Dialogica si occupa di marketing, non di tecnologia. Non sviluppiamo delle soluzioni, ma facciamo scouting per trovare le migliori applicazioni per risolvere problemi concreti di marketing. A dire il vero siamo abbastanza pressati da sempre nuove soluzioni “mirabolanti” (sulla carta…). Sai come si dice: “ogni scarrafone è bello a mamma sua”! Il nostro approccio è pragmatico: le testiamo nei punti vendita, confrontando le nuove proposte con tecnologie da noi ampiamente sperimentate e validate, oppure verificando l’output con dati standard. Dopo la valutazione, su una serie specifica di parametri, valutiamo se adottare o meno i prodotti proposti. In pratica, una nuova proposta per essere da noi accettata deve avere la “Tripla A”. La scelta di non sviluppare internamente è per noi strategica: il tasso di sviluppo della tecnologia è rapido e una nuova soluzione rischia di diventare obsoleta in fretta. Noi raccogliamo diverse fonti dati, dai videoanalytics (sistemi passivi di tracking degli shopper), ai dati di vendita/scanner, alle carte fedeltà e li elaboriamo nella nostra piattaforma di analisi real time, Dianalytics.
I sistemi che noi utilizziamo nei punti vendita catturano il comportamento degli shopper in tempo reale: chi sono, cosa fanno, dove vanno, cosa guardano cosa e come acquistano. Sensori installati in varie location misurano i comportamenti degli shopper, il loro percorso di acquisto. Il tutto senza il bisogno di filmare: siamo infatti stati autorizzati dal Garante della Privacy all’utilizzo dei nostri sistemi in qualsiasi location.

Quali sono i vantaggi di questo sistema?

Essere lì dove avviene l’acquisto.
Esserci tutti i giorni, tutto l’anno.
Non interferire con il normale processo di acquisto.
Segmentare gli shopper, le scelte finali e anche quelle “mancate”.
In pratica: basi dati molto corpose, migliaia di casi ogni giorno, quindi elevata significatività statistica; continuità di rilevazione; dati in tempo reale; analytics per tutto lo shopper journey. Infine, costi più contenuti rispetto alle tecniche tradizionali di ricerca.

Che tipo di informazioni possono essere ottenute? Quali principali modi per interpretarle?
Le informazioni, come già accennavo, riguardano lo shopper, i suoi comportamenti, gli acquisti. Una mole variegata di dati che richiede modelli analitici piuttosto complessi, dato che devono interpretare una realtà massimamente complessa: perché uno shopper allunga una mano e acquista proprio quel prodotto? Il nostro compito consiste nel trovare chiavi di lettura e di interpretazione piuttosto semplici aggregando moltissimi dati disomogenei. La nostra piattaforma, Dianalytics, è una casa piena di stanze: ciascuno apre quella a lui più utile: lo shopper, le promo, i fuori stock, le dinamiche di acquisto, i planogrammi, le vetrine….Nelle stanze trova i dati, gli indici, per capire e migliorare.

In particolare che cosa è possibile modificare grazie alle deduzioni che derivano dalle analisi che siete in grado di fornire?
Ad esempio, nel largo consumo: un planogramma, per renderlo più “shopper friendly”, quindi più efficace. Il mix del prodotto prima del lancio. I piani promozionali, la disposizione delle isole promo e dei fuori banco, il layout dei punti vendita, la posizione a scaffale, il numero di facing…. Nei negozi tradizionali le nostre analisi sono usate per capire la potenzialità dei negozi in funzione della loro location (pensiamo ad un centro commerciale o ad una Boutique in centro città), del tasso di attrattività/efficacia delle vetrine, dei flussi di ingresso, dell’efficacia del personale di vendita….
S'
Possiamo anche effettuare delle analisi “what-if” modificando alcune variabili, ad esempio il prezzo, e stimando il risultato.

Nella tua esperienza quanto viene deciso dal compratore davanti allo scaffale e quanto invece è frutto di un’attività svolta dalle case produttrici fuori dal punto vendita?
Secondo la nostra esperienza è difficile tracciare un confine. Ricordo un vecchio manuale di merchandising di Coca-Cola che recitava “A good merchandising: the last persuader. A bad marchandising: the first dissuader”. Penso che sia ancora, dopo quasi trent’anni, vero. L’Advertising parla ai consumatori, crea una identità (possibilmente unica) al prodotto, stabilisce una relazione. Tutto ciò che avviene nei punti vendita conforta, rafforza, stimola l’identità della marca e, se tutto va bene, suggerisce l’acquisto.

Che cosa cerca oggi un consumatore in un prodotto a scaffale?
Dipende molto dal prodotto: alcune grandi, grandissime marche sono come le star di Hollywood: tutti, o quasi (teniamo conto delle soggettività!) vorrebbero accompagnarsi a loro. Certo, se pensiamo a quanti marchi/prodotti sono veramente indispensabili nell’assortimento di un supermercato, beh, forse non arriviamo a 10/12 grandi marche. Il resto è terreno di battaglia fra desideri, bisogni, possibilità degli shopper. Sotto le grandi marche (peraltro anche queste sono affette dalla “scontite acuta”) si cerca il rapporto qualità prezzo, la convenienza. Ancora sotto è noia: una pletora di prodotti, francamente inutili, me-too delle marche, a volte mantenuti a scaffale con gigantesche bombole di ossigeno, magari per riempire i volantini dei retailer. Le private label sono un discorso a parte: stanno acquisendo sempre più un ruolo nel panorama delle scelte dello shopper. Prodotti di buona qualità, ad un prezzo concorrenziale, gradevoli e spesso leader nella loro categoria.

Che cosa intende un consumatore per qualità?
Penso, in generale, quello che lo fa stare bene. La qualità è un concetto soggettivo e, visto che gli shopper non sono dei tecnici, ma sono spesso distratti (A proposito: quanti leggono gli ingredienti, le informazioni nutrizionali, il prezzo al chilo?), hanno bisogno di segnali semplici, chiari, rassicuranti. Non dimentichiamoci che in un supermercato si sceglie un prodotto, ovviamente in media, in circa 4 secondi. Tempo preziosissimo, se pensiamo che in pochi istanti si scarica tutta l’attività di marketing, ma non solo, delle aziende!

Quanto è importante l’attività in rete delle imprese per influenzare i consumatori?
Non sono un internettaro, anche per motivi anagrafici. Pertanto ho delle competenze limitate.
In che modo è importante analizzare il loro comportamento, grazie ad esempio al tipo di sostegno che voi offrite, per poter prendere decisioni migliori specialmente per ciò che attiene la comunicazione?
I nostri sistemi son utilizzati nel Digital Signage, cioè la comunicazione attraverso video in Stazioni, Aeroporti… Misuriamo le audience, le segmentiamo, calcoliamo la pressione pubblicitaria su gruppi specifici di individui. Riusciamo, in alcuni casi, a valutare l’efficacia delle campagne pubblicitarie su target specifici. Lo facciamo anche in caso di eventi sul territorio, cercando di avere degli indicatori di performance che permettano di confrontare fra loro mezzi totalmente disomogenei, come eventi, negozi, televisione….

In Italia molte imprese sono raccolte nella fascia con fatturati al di sotto dei 100 milioni di euro, forse potremmo anche dire al di sotto dei 50 milioni di euro: che cosa possono fare queste aziende, che non hanno evidentemente a disposizione delle cifre importanti da investire in attività di ricerca, per non perdere il passo rispetto alle multinazionali?

Osservare i consumatori, stare sul mercato (leggasi nei punti vendita), chiedere le opinioni dei clienti: raccogliere, organizzare, utilizzare in modo sistematico le informazioni.  A volte, lavorando con imprenditori, ci capita di porre una domanda che imbarazza i nostri interlocutori: perché un cliente dovrebbe comprare proprio il prodotto dell’azienda invece di uno concorrente? Le risposte molto spesso sono vaghe… La qualità è migliore (ma la qualità non è un attributo soggettivo? Quale shopper è capace di valutare oggettivamente la qualità?) è la risposta più frequente. Il fatto è che la qualità, prendendola come esempio paradigmatico, è ormai data per scontata: le private label offrono buona qualità, i discount offrono buona qualità, ovviamente rispetto alle aspettative dei loro shopper. Il fatto è che non possiamo appiattire tutto sulla qualità (soggettiva e scontata) e sul prezzo. Noi compriamo per fascinazione, vogliamo emozioni, sensazioni piacevoli, rinforzi positivi, e la qualità (men che meno il prezzo!) non bastano a soddisfarci. Il vero problema resta capire quale attributo particolare, unico, differenziante, fa scegliere il nostro prodotto rispetto alla concorrenza: non è altro che il vecchio, ritrito, ma poco compreso, brand positioning. Al Ries diceva che il positioning è il più importante aspetto del management. Come dargli torto?

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